Florenza Tedeschi insegna a Milano, al complesso sperimentale Casa del Sole.

Tu lavori come facilitatore culturale. Puoi spiegare?
Da sei anni lavoro ad un progetto per l’integrazione dei ragazzi stranieri nella scuola. Il mio lavoro ha principalmente due funzioni: l’insegnamento della lingua italiana come seconda lingua e l’integrazione e accoglienza dei ragazzi all’interno delle classi, con un’attenzione particolare a quella che può essere definita un’educazione interculturale. Qui il problema costituisce un’emergenza forte: Milano infatti scolarizza, mi sembra, un quarto di tutti i ragazzi stranieri che frequentano le scuole in Italia. La situazione è particolarmente problematica per i ragazzi cinesi o arabofoni, perché all’ingresso nella scuola non esiste per loro alcuna possibilità di comunicare; non esiste neanche una lingua veicolare, perché i ragazzi cinesi non sono ancora in grado di comunicare in inglese e i ragazzi arabi, a seconda delle regioni di provenienza, non parlano assolutamente né francese né inglese. Nella mia scuola i ragazzi stranieri rappresentano il 20% circa degli alunni e la loro conoscenza dell’italiano varia moltissimo, per cui formiamo dei gruppi di livelli diversi, facendoli uscire dalle classi negli orari in cui hanno materie che richiedono maggiori capacità astrattive della lingua, come Italiano, Storia, Scienze, mentre seguono più o meno regolarmente materie come Educazione Artistica, Educazione Fisica o Musicale durante le quali possono comunicare anche attraverso linguaggi non verbali. Al primo livello ci sono ragazzi che non parlano assolutamente la lingua italiana, poi abbiamo un secondo e un terzo livello. Alla fine di un corso di tre anni questi ragazzi parlano un italiano più o meno corretto anche se poi occorrerebbero loro altri due anni per perfezionare la conoscenza della lingua. Alle medie, infatti si pretende che i termini siano già acquisiti, che si possieda un lessico specifico per la storia, la geografia, le scienze. Ci sono colleghi che pretendono che leggano Boccaccio e Ariosto.
Come avviene l’insegnamento della lingua italiana?
Nelle scuole in cui sono stata vengono messi insieme ragazzi che provengono da paesi diversi: turchi, arabi e cinesi, a seconda della loro conoscenza dell’italiano. Insegniamo loro a comunicare; si inizia dalle prime cose, saluti, convenevoli, si insegna loro l’alfabeto, perché per esempio non tutti i cinesi hanno imparato la traslitterazione dei suoni, cioè il passaggio dalla fonetica degli i-deogrammi alla nostra. Si punta innanzitutto sulla acquisizione orale di alcune abilità. Dopo si passa alla formulazione scritta, altrimenti la cattiva acquisizione del suono porta anche a sbagli nella scrittura. I cinesi hanno il problema della “erre”, che è sempre “elle”, gli ispanofoni hanno la “bi” invece della “vi”, gli arabi hanno la “bi” al posto della “pi”, i suoni non sono quelli del nostro alfabeto. Certo non puoi pensare di insegnar loro in un giorno, in una lezione: “io mi chiamo, tu ti chiami” e poi ti fermi al “lui si chiama”. Devi inserire il genere femminile e non è facile, sono concetti complessi, perché non tutte le lingue hanno queste distinzioni: singolare, plurale, maschile, femminile; a volte anche i gesti sono diversi; questi ragazzi devono acquisire una gestualità che non è la loro, decodificarla. Si fanno giochi di ruolo, si simulano situazioni linguistiche, dal panettiere all’ufficio postale, perché l’acquisizione di alcune funzioni della lingua avviene solo attraverso lo scambio e il dialogo. Altrimenti veramente torniamo ai tempi in cui studiavamo l’inglese come il latino e il greco, con le traduzioni e la grammatica a memoria. Ma occorre veramente calma, lentezza: passato, presente e futuro sono concetti che la lingua italiana ha in modo netto e definito; altre lingue non hanno questa distinzione, quindi devi dar loro la possibilità di poter apprendere questi concetti, di calarsi ancora di più nella nostra realtà linguistica.
Dunque, lentezza, calma, soprattutto per rispettare la fase silente, che è fondamentale. La fase silente è il momento in cui i ragazzi sono bombardati da suoni, strutture e li devono mettere in ordine. Comunicano solo nella loro lingua o con i gesti, ma in realtà è un momento in cui lavorano moltissimo perché stanno elaborando strutture e suoni che poi verranno fuori. E’ quindi una fase che va rispettata. Passato questo stadio, che può essere di mesi ed è tipico dell’apprend ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!