Giuseppe Berta, storico dell’industria, docente alla Bocconi presso il dipartimento di Analisi Istituzionale e Management Pubblico, recentemente ha pubblicato La questione settentrionale. Economia e società in trasformazione, Feltrinelli 2008.

Lei da tempo si interroga sulla “questione settentrionale”. Come sta reagendo il Nord a questa crisi?
Se vogliamo partire dall’industria, allora lo stato di salute dell’industria italiana non è cattivissimo, posto che la crisi incide su tutti i paesi che hanno un apparato industriale ancora considerevole, per cui l’Italia come la Francia e la Germania.
Certamente la nostra industria è legata alla minore dimensione delle imprese, e questo può essere un vantaggio come uno svantaggio. E’ un vantaggio perché le capacità di assorbimento spontaneo sono maggiori. E’ uno svantaggio perché le politiche di aiuto e di sostegno sono tagliate su misura dei gruppi industriali maggiori. Noi non abbiamo delle politiche specificamente indirizzate al sostegno delle piccole unità produttive, dunque questo è certamente un problema. E però devo dire che io sono dell’idea che, pur ridimensionato, l’apparato produttivo italiano resterà in piedi. Certo, probabilmente, anzi sicuramente, stiamo già andando verso un riduzione ulteriore della sua consistenza, della sua entità quantitativo-materiale. Però questo direi che è nelle tendenze generali dei paesi sviluppati.
La Lombardia e il Veneto restano aree del paese che hanno un solido nucleo industriale. Ecco, questo nucleo industriale resisterà alla crisi anche se, come dicevo prima, dovrà subire degli inevitabili snellimenti.
La dimensione piccola non aiuta però a investire nella ricerca, nell’innovazione…
Anche rispetto al tema della ricerca e dell’innovazione, in realtà è stato proprio quel grappolo di medie imprese innovative ad aver investito nella ricerca, magari non direttamente, casomai attraverso delle collaborazioni con l’università. Io conosco delle medie imprese dell’area torinese che hanno investito il 7-8% nella ricerca e sviluppo. Naturalmente non è un’attività di ricerca e sviluppo generata direttamente dall’impresa al proprio interno. E’ un’attività che si deve appoggiare alla collaborazione, alla partnership, con altri centri di ricerca all’esterno. Ma io questa la vedo come una cosa positiva nel senso che è uno stimolo anche al sistema universitario. E’ un modo in cui l’impresa si apre al sistema universitario e il sistema universitario si apre all’impresa. Purtroppo questa realtà è ancora troppo limitata. Bisognerebbe andare di più in questo senso.
Io penso sempre di più a un’attività di ricerca che non sia condotta dall’impresa direttamente. Le piccole e medie imprese non si possono permettere di collocare dei veri e propri centri di ricerca al proprio interno pertanto devono sviluppare ricerca in sinergia con altri enti e soggetti prevalentemente di tipo universitario.
Il terziario?
Il terziario è diverso. Noi in questi anni abbiamo subito una grande terziarizzazione però il nostro terziario non è, come dire, governato, pilotato, guidato con la stessa capacità adattiva dell’industria. Il nostro terziario per alcuni aspetti si è molto gonfiato e rischia di essere più debole e più esposto ai contraccolpi della crisi. Pensiamo agli effetti sull’occupazione. Noi non abbiamo un sistema di garanzie per i lavoratori del terziario che sono più flessibili.
Lì, secondo me, noi accusiamo un certo ritardo. Già quando usiamo la parola terziario, noi dovremmo quanto meno declinarla al plurale e parlare di terziari per quanto sono vasti e differenziati gli aggregati che compongono questa categoria così ampia.
Invece noi continuiamo a parlare di terziario in maniera ancora indistinta. Bisognerebbe capire di più cos’è l’impresa terziaria, capire soprattutto di quali sostegni ha bisogno in un periodo di crisi come questo, capire che tipo di ammortizzatori sociali possiamo applicare alla realtà terziaria. Altrimenti lì si verifica uno scossone all’occupazione che non è governato in alcuna maniera. Tanto più che nel terziario c’è veramente di tutto: c’è il lavoratore autonomo, il dipendente travestito da autonomo, ci sono tutte le forme di flessibilità immaginabili… Su questo, devo dire, siamo proprio scoperti. Mentre per l’industria bene o male c’è una tradizione di intervento lì no. E questo rivela un’intrinseca debolezza.
In questi giorni gli occhi sono tutti puntati sulla Fiat…
La Fiat sta giocando una partita com ...[continua]

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