Ugo Trivellato è professore di Statistica Economica presso la Facoltà di Scienze Statistiche dell’Università di Padova. Collaboratore de lavoce.info, si occupa di misura e analisi della partecipazione al lavoro e della disoccupazione, della valutazione dell’impatto di politiche sociali, di modelli strutturali e di misura nelle scienze sociali.

Recentemente l’Inps ha comunicato un aumento del 52,2% delle domande di indennità di disoccupazione liquidate nell’ultimo anno e di oltre il 400% della cassa integrazione.
Sono dati che dicono qualcosa, e qualcosa di preoccupante, ma nello stesso tempo dicono poco.
Quanto alla cassa integrazione, una sola notazione: l’informazione si riferisce alle ore concesse alle imprese, non a quelle che le stesse hanno effettivamente utilizzato.
Guardiamo con attenzione, invece, all’indennità di disoccupazione ordinaria. Il problema fondamentale non sta nel numero delle indennità erogate, che peraltro cresce di oltre il 50%, ma nei requisiti di ammissibilità all’indennità, requisiti che -lo ricordo- sono due: aver versato contributi per almeno 52 settimane nell’arco dei 24 mesi prima del licenziamento e per almeno una settimana precedente gli ultimi 24 mesi.
I dati elaborati dall’Osservatorio di Veneto Lavoro sul possesso o meno di tali requisiti da parte dei lavoratori licenziati sono, a mio modo di vedere, impressionanti. Tanto più che il Veneto è una delle regioni con il tasso di occupazione più alto e l’elaborazione è riferita al 2007, quindi prima della crisi finanziaria ed economica.
Ebbene, nel 2007 in Veneto sono stati licenziati 354.000 lavoratori; 61.000 si sono rioccupati entro 7 giorni. Ne restano 293.000. Di questi, gli ammissibili sono 97.000, cioè il 31%. Questo significa che il 69% non ha diritto all’indennità di disoccupazione, a causa dell’assenza di almeno uno dei requisiti richiesti. In sostanza, su 293.000 licenziati quasi 200.000 restano disoccupati senza accesso alla protezione sociale fornita dall’indennità di disoccupazione ordinaria.
Ma non è finita: sui 97.000 ammissibili, solo 44.000 si sono iscritti come "disponibili” ai Centri per l’impiego: condizione, questa, per poter presentare la domanda di indennità all’Inps. Quindi il dato finale sui disoccupati che godono dell’indennità di disoccupazione ordinaria scende al 15% dei potenziali interessati.
Sono dati che parlano da soli. In questi ultimi nove anni è stato progressivamente aumentato il rapporto fra indennità di disoccupazione e salario del lavoratore, ed è stata allungata la durata per la quale la si può percepire. Non si sono riconsiderate, invece, le condizioni di ammissibilità all’indennità. Sono queste condizioni che, oggi, rappresentano la strozzatura cruciale. Detto in altre parole, non si è tenuto conto che tipicamente i licenziati non sono più lavoratori a tempo indeterminato e pieno, con una storia lavorativa lunga e (quasi) ininterrotta, ma sempre più spesso lavoratori con episodi di occupazione brevi e intermittenti.
Anche fra chi ha diritto agli ammortizzatori sociali c’è una situazione fortemente diversificata.
Senza entrare nei dettagli, recentemente sono stati introdotti ammortizzatori per i lavoratori interinali, i co.co.co. e i co.co.pro. Ma, soprattutto per questi ultimi, con una griglia di condizioni per cui ancora oggi non sappiamo chi "finisce dentro” lo strumento di protezione sociale e chi ne resta invece escluso.
Ora, misure così diversificate (tra l’altro, spesso anche "povere”) potrebbero forse avere un senso in una situazione in cui esistesse un reddito minimo di garanzia. Ma in Italia una misura generalizzata di protezione contro la povertà non c’è. Quindi, chi non soddisfa gli specifici requisiti dell’ammortizzatore sociale che lo riguarda non ha alcun sostegno del reddito.
Tra gli elementi di debolezza del nostro sistema di protezione sociale io vedo soprattutto il suo impianto decisamente lavoristico-categoriale, per di più molto frammentato.
La protezione per la disoccupazione, ad esempio, è molto più alta per chi è licenziato da imprese sopra i 15 dipendenti. Le liste di mobilità, prima delle ultime estensioni, riguardavano solo i licenziati da imprese sopra i 15 dipendenti nell’industria e sopra i 50 nel commercio.
C’è poi la fascia di chi è protetto perché formalmente mantiene il rapporto di lavoro con l’impresa, pur potendo essere di fatto molto vicino alla condizione di disoccupato: i cassaintegrati, i cosiddetti "sospes ...[continua]

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