Assieme ad Enrico Zucca, ha sostenuto l’accusa al processo sui fatti avvenuti nella scuola Diaz al termine del G8 di Genova. Può spiegare intanto a che punto siamo dell’iter processuale?
La materia è molto complessa, e processualmente per me è difficile parlarne, perché c’è ancora in corso un ulteriore grado di giudizio. Dopo la sentenza di appello, lo scorso autunno, sono stati infatti depositati tutti i ricorsi per Cassazione, ma a causa della quantità degli atti da notificare e del numero delle parti coinvolte, la data dell’udienza deve essere ancora fissata, verosimilmente per i prossimi mesi.
Volendo riassumere brevemente le fasi processuali, nel primo grado abbiamo assistito alla condanna nei confronti degli appartenenti al reparto mobile che aveva fatto per primo ingresso alla Diaz, nonché di un agente e un vicequestore accusati di aver portato sul luogo della perquisizione le bottiglie molotov, ma complessivamente i vertici erano stati tutti assolti.
Noi non abbiamo accettato questo taglio, questa cesura netta, che vi era stata fra chi era entrato nella scuola e aveva fatto, secondo la sentenza di primo grado, un uso illegittimo della forza (cioè in assenza dei presupposti che possono legittimare le forze dell’ordine a utilizzare strumenti coercitivi, quindi violenza) e invece la responsabilità di coloro che avevano poi eseguito la perquisizione, redatto gli atti di arresto e di perquisizione, fondandoli interamente sulla rappresentazione di circostanze false.
Avevamo contestato il falso in atto pubblico e la calunnia proprio in relazione a queste false rappresentazioni (il lancio di oggetti dalle finestre dell’edificio contro la polizia, la violenta resistenza posta in essere all’interno mediante armi improprie, l’aggressione a mezzo di coltello nei confronti di due agenti da parte di un ignoto occupante della scuola mai identificato, con la simulazione sugli indumenti dell’agente aggredito delle tracce di tale aggressione) ed anche in relazione alla famosa vicenda delle due bottiglie molotov, effettivamente sequestrate la mattina prima dell’irruzione in un’altra parte della città, quindi clandestinamente trasportate dai poliziotti e fatte comparire all’interno della scuola, come se fossero state in possesso di tutti gli occupanti. Nel corso del processo è stato pacificamente riconosciuto che le molotov non erano nella scuola, ma erano state portate lì da operatori di polizia.
Allora, il quadro finale che emergeva dalla sentenza di primo grado era: "Sì, è vero che queste bottiglie non c’erano, è vero che le hanno portate due imputati, in particolare un assistente della polizia di Stato e un vicequestore aggiunto, ma nella sostanza non vi è la prova che i superiori gerarchici avessero consapevolezza dell’estraneità di questo reperto al corpo della perquisizione; per quanto riguarda poi le circostanze relative alla resistenza posta in essere dagli occupanti e al lancio di oggetti, è vero che non vi è prova che tali condotte siano state commesse dagli stessi occupanti, ma ciò non è sufficiente a dimostrare la responsabilità dei verbalizzanti e dei sottoscrittori degli atti per aver consapevolmente alterato il contenuto dei verbali stessi”.
Solo il comandante del VII Nucleo del Reparto Mobile, i cui componenti erano stati riconosciuti colpevoli delle violenze ingiustificate, veniva quindi ritenuto responsabile di falso e calunnia in relazione alla descrizione di attività di resistenza contenuta in una relazione di servizio allegata agli atti di arresto. Nel nostro atto di appello abbiamo contestato le argomentazioni della sentenza sulla base di immagini, filmati, riproponendo sostanzialmente la medesima ricostruzione già svolta in primo grado e la nostra ricostruzione è stata accolta dalla Corte di secondo grado.
La sentenza di Appello ha dunque sovvertito le conclusioni a cui era arrivato il primo grado o, meglio, ha portato a logiche conclusioni quello che era rimasto sospeso, in particolare il giudizio di responsabilità, che nella sentenza di primo grado non ci aveva lasciato soddisfatti.
Come dicevo, però, l’iter processuale non è ancora concluso. Purtroppo, per quanto sembri paradossale che una storia giudiziaria possa durare quasi dieci anni, questo non è il primo caso in Ital ...[continua]
Esegui il login per visualizzare il testo completo.
Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!