Paolo Bergamaschi è consigliere per gli affari esteri al Parlamento Europeo. Veterinario di professione, collabora con riviste, siti web e quotidiani. Con Infinito edizioni ha pubblicato Passaporto di servizio (2010) e L’Europa oltre il muro (2013).

Da vent’anni viaggi per conto del Parlamento europeo, soprattutto nei paesi dell’Est. Puoi raccontare?
Sono ormai la memoria storica della Commissione esteri del Parlamento Europeo, sin da quando, con il trattato di Maastricht (adottato nel ’92 ed entrato in vigore nel ’‘93), la Commissione "politica” si è trasformata in Commissione "affari esteri”. Prima del trattato, infatti, non c’era la politica estera di sicurezza comune. Io sono entrato all’inizio del ’95. Alex Langer mi aveva sollecitato: "Guarda che si è aperto un posto qui...”. Così ho fatto il concorso e ho vinto. Da allora sono in pianta stabile al Parlamento Europeo. Le competenze della Commissione esteri del Parlamento Europeo si sono via via approfondite e ampliate grazie alle nuove funzioni attribuite dai trattati che successivamente sono stati adottati e tuttavia restano ancora molto limitate...
Si sente sempre dire che l’Unione europea non ha una politica estera...
La politica estera è una di quelle politiche considerate fondanti della sovranità di uno stato, per cui è l’ultima cosa che uno stato nazionale cede. Se fossimo una federazione, la politica estera diventerebbe una questione appunto federale. Ma così non è. I paesi hanno le loro tradizioni, i loro contatti, le loro relazioni consolidate e ci tengono a mantenerle. Con il trattato di Lisbona, è stato istituito l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Europa, incarico attualmente ricoperto da Catherine Ashton. È un salto rilevante, ma dobbiamo ricordare che la politica estera comune è condotta soprattutto dal consiglio, quindi l’insieme dei capi di stato o dei ministri degli esteri dei ventotto paesi che compongono l’Unione europea. Il Parlamento, sempre in base al trattato di Lisbona, è chiamato a essere informato e consultato, ma il suo ruolo è limitato a questo. In pratica, i rappresentanti del consiglio, tra cui la stessa Catherine Ashton, vengono in Commissione esteri e spiegano quello che è stato deciso la settimana prima e noi prendiamo atto di tali decisioni. Di fatto, siamo tagliati fuori dal processo decisionale, nel senso che veniamo coinvolti ex post e non ex ante come dovrebbe essere. Questo è il problema fondamentale. Pur contando poco dal punto di vista dell’influenza sul processo decisionale, o comunque avendo un ruolo limitato, in realtà la commissione esteri è però lo specchio dell’opinione pubblica europea (è anche la più corposa: sono coinvolti il 20% dei deputati). È la commissione dove vengono tutti i capi di stato e i ministri degli esteri dei paesi terzi. In un certo senso, è la vetrina del Parlamento Europeo. Non a caso, tutti i leader politici dei paesi membri a fine carriera, o quelli più rampanti che sono a inizio carriera, vogliono venire nella Commissione esteri. Infatti io li ho visti passare tutti: da Mario Soares, fino a Berlusconi.
Il problema dell’Europa è che ci sono ventotto opinioni pubbliche diverse, con temi, priorità, sensibilità e retroterra culturale diversi, che non comunicano fra di loro.
Il Parlamento europeo cerca di armonizzare e mettere assieme queste diverse sensibilità. È anche appassionante ascoltare punti di vista completamente diversi.
Quanto pesa il bisogno di energia dell’Europa nelle questioni di politica estera?
La questione della sicurezza energetica è diventata una delle cosiddette "top priority” della commissione dell’Unione Europea. L’Europa ha fame d’energia. Le politiche di armonizzazione energetica, il famoso 20-20-20 (cioè puntare al 20% di energia da fonti rinnovabili, fare il 20% di risparmio energetico e ridurre del 20% i gas serra entro il 2020) sono state ribadite e sono stati fissati nuovi obiettivi per il 2030, fino al 2050, eccetera. Ma non basta. Fino a che l’Europa non avrà un minimo di sovranità energetica, cioè qualcosa di suo, irrimediabilmente la sua politica estera sarà debole e succube dei paesi produttori e fornitori di energia.
Quando hai a che fare con la Russia non puoi non tener conto che più di un terzo del fabbisogno di idrocarburi dell’Unione europea viene da lì. Dobbiamo fare i conti con questo. Per cui, più di tanto non possiamo essere assertivi con i russi, perché, fermo restando che il nostro è il loro mercato d’ele ...[continua]

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