Massimo Modesti, pedagogista interculturale, e Sabaudin Varvarica, antropologo di origini albanesi, hanno partecipato a una ricerca sui Genitori Migranti nata dall’esperienza dell’associazione Ishtar e Casa di Ramia. Il libro cui si fa riferimento nell’intervista (a cura di Vanessa Maher) è Genitori Migranti, Rosenberg & Sellier, 2012.

Avete partecipato a una ricerca sui genitori migranti, con particolare attenzione alle trasformazioni sociali che hanno interessato genitori e figli nella popolazione albanese immigrata in Italia, ma anche in Gran Bretagna. Potete raccontare?
Sabaudin Varvarica. Si comincia a parlare di un’emigrazione albanese a partire dalla caduta del comunismo, cui seguono varie fasi, soprattutto a partire dal 1991. I paesi verso cui si è diretta l’emigrazione albanese sono stati dapprima la Grecia, perché tutti potevano scappare a piedi, poi l’Italia, l’Inghilterra, la Germania, gli Stati Uniti, il Canada… Verso l’Italia ci sono state ben quattro ondate: nel marzo del ’91 il primo grande esodo di 23.000 albanesi e nell’agosto dello stesso anno il secondo esodo di cui parla anche il film "La dolce nave”, che racconta l’approdo della nave Vlora nel porto di Bari il mattino dell’8 agosto, con a bordo 20.000 albanesi. A metà del ’97, dopo il crollo delle piramidi finanziarie, sono entrati in Italia più di 16.000 albanesi. Infine, la crisi del Kosovo nel 1999 e il conflitto in Macedonia del 2001 hanno determinato nuovi rilevanti flussi verso l’Italia, finché c’è stata una stabilizzazione a partire dal 2002 con la legge Bossi-Fini.
Io ho studiato anche il caso di Birmingham dove è presente una forte comunità albanese: ho messo a confronto i due contesti, italiano e inglese, per cogliere le trasformazioni all’interno della vita delle famiglie migranti albanesi.
Molti degli albanesi di Birmingham prima di arrivare in Inghilterra erano emigrati in Grecia e poi in Italia. L’immigrazione albanese in Inghilterra è tendenzialmente in movimento; il prof. Russell King, del Sussex Centre for Migration Research, parla di una "onward migration”, appunto perché l’Inghilterra rappresenta la seconda o terza tappa del percorso migratorio. Non è facile dire quanti siano andati via dall’Italia; il fatto è che quando scade il permesso di soggiorno si lascia l’Italia o per tornare in Albania o per andare in un altro paese. Durante la guerra nel Kosovo, molti albanesi si sono presentati in Inghilterra con false identità kosovare ed è stato loro riconosciuto lo status di rifugiati politici in quanto persone perseguitate dal regime di Milosevic. Comunque, l’attesa per il riconoscimento dello status di rifugiato non è automatica, può essere molto lunga e la permanenza in Inghilterra è stata anche di cinque o dieci anni prima di vedere regolarizzata l’intera famiglia.
I migranti albanesi conservano legami forti con la famiglia e la terra d’origine. Molti hanno conservato la casa in Albania o ne comprano una nuova. Ci sono dunque progetti di rientro?
Sabaudin. In effetti si può parlare di una migrazione di ritorno. Sono stati pubblicati alcuni dati su "Dossier migranti” in base ai quali fino al 2010 dall’Italia sarebbero rientrate in Albania 10.000 persone, con progetti della Caritas; altri sarebbero emigrati verso altri paesi. Si parla anche di una migrazione di ritorno dalla Grecia di 200.000 persone. Dalle interviste fatte risulta che la maggior parte dei genitori pensa di tornare in Albania una volta in pensione. Sanno che i figli rimarranno qui, perché si sono integrati molto bene e ormai hanno un’altra mentalità. In Albania i figli degli emigrati non sono visti come gli altri, vengono presi in giro perché non sanno più la lingua.
Mi raccontava un papà di 35 anni che quando va con la famiglia in Albania c’è poco affetto verso i suoi figli da parte dei parenti. Lì quando uno cresce, deve essere un "ragazzaccio”, deve stare sulla strada, giocare… i figli di chi è emigrato sembrano invece -secondo le parole di quel papà- un po’ "effeminati” perché chiedono sempre: "Posso?”. Si tratta di modalità non condivise…
Massimo Modesti. Come rappresentazione sociale, ai loro occhi i figli degli emigrati sono dei borghesi. Chi è emigrato ha fatto un salto dal punto di vista della classe sociale. Lo stesso manovale che in Italia ha imparato un mestiere, per cui prende 2.000 o 2.500 euro, sa che se torna in Albania non guadagnerà neanche la metà e quindi decide di rimanere qui. La stessa cosa vale per l’ope ...[continua]

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