Può descriverci il centro Marco Cavallo? Non sembra il tradizionale ambulatorio...
Carlo. Lo descriverei come uno strumento che si affianca ai poli territoriali, ponendosi subito dopo il primo approccio rappresentato dalla visita psichiatrica, dai farmaci o dalla psicoterapia, perché queste cose possono essere sufficienti solo per alcuni bisogni. Grazie a Franco Basaglia e alla legge 180, l’Italia è l’unico paese al mondo che ha chiuso i manicomi, ma spesso le persone sono state semplicemente spostate in altri piccoli "contenitori”, le comunità "riabilitative ad alta assistenza”, dove sono seguite 24 ore su 24; la mentalità non è ancora cambiata, soprattutto laddove non c’è stata una vera de-istituzionalizzazione. Noi qui, ispirandoci a Basaglia, vogliamo fare qualcosa di diverso per far riappropriare la società del tema della salute mentale.
Tutti proviamo un certo disagio, e dobbiamo chiederci come la società si predisponga ad aiutare i cittadini a preservare la propria salute mentale o, quando la si perde, ad affrontare la sofferenza. Il concetto di salute mentale di comunità è centrale, ma devono esserci i luoghi dove farla e gli operatori disposti a praticarla... Nel palazzo in cui siamo nessuno sapeva che fare del primo piano, circa 500 metri quadri. Dopo avermi nominato direttore di questa Unità Operativa nel gennaio 2008, il direttore generale della Asl, Scoditti, mi disse: "Tu saprai cosa farne”. Così, con l’aiuto collettivo di tutto il servizio di salute mentale, cominciai a impostare qui il centro "Marco Cavallo”, inaugurato a maggio 2009, la cui competenza territoriale investe nove comuni, da Latiano a Torchiarolo.
Cosa fate qui che nei centri territoriali non si può fare?
Carlo. A parte i servizi di diagnosi e cura ospedalieri, situati a Brindisi e a San Pietro Vernotico, nei poli territoriali del distretto, a Mesagne e a San Pietro Vernotico, si fa soprattutto salute mentale di base: prima accoglienza, colloqui, visite psichiatriche; lì era quasi impossibile fare i gruppi di mutuo aiuto, le assemblee con i cittadini, i corsi di formazione aperti... Appena ho visto questo palazzo, la prima cosa che m’è venuta in mente è stata di sfruttarlo in tal senso. Ho cominciato così a invitare le famiglie e le persone con esperienza che incontravo nei poli ambulatoriali a venire qui una volta a settimana a fare delle riunioni.
Quello assembleare è per me il momento centrale, e non solo per la grande assemblea, che abbiamo chiamato del "fareassieme”. C’è il gruppo-eventi, che si ritrova ogni martedì alle 15.00 -di solito in 20, 30 persone- e decide cosa fare, per esempio se concedere o no quest’intervista, se partecipare a un’iniziativa, se programmare un viaggio studio... È in una di queste riunioni che è nata l’idea di costituire un’associazione, la "180amici”, perché è più facile rendere partecipe la cittadinanza tramite un soggetto legale che può interloquire liberamente con Azienda sanitaria, Regione e comuni. Abbiamo tenuto anche alcune assemblee aperte fuori di qui, per raccogliere le adesioni dei cittadini.
Un’associazione a iscrizione libera?
Carlo. Sì, un’associazione di cittadini e non di soli familiari che difendono i diritti dei propri congiunti, né un’associazione di soli utenti. Tutti abbiamo i diritti e i doveri propri della cittadinanza e un’esperienza che va valorizzata. Presa la decisione di costituirla, si è pensato di cercare nel territorio nazionale realtà già esistenti adeguate come statuto e filosofia. Tramite la dottoressa Guida siamo così venuti a conoscenza di un’associazione che si era costituita a Roma qualche anno prima, la "180amici”. Abbiamo invitato alcuni soci, ci siamo conosciuti e abbiamo deciso di associarci a loro. Per alcuni mesi siamo stati la sede periferica della "180amici” di Roma, poi abbiamo costituito "180amici Puglia” e ci siamo iscritti all’albo regionale.
Come si sposano l’attività del centro e quella dell’ ...[continua]
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