Si è parlato spesso in relazione alla Global Sumud Flottilla di “elefante nella stanza”, per sottolineare che i governi e una parte della discussione pubblica discuteva sulle decisioni e sui comportamenti della Flotilla come se a essere illegali fossero i comportamenti di chi navigava pacificamente in acque internazionali, e non un oltraggio al diritto internazionale quelli di chi pretendeva di impedirlo col ricorso alla violenza. Quelle coraggiose barchette a vela sono riuscite a portare l’elefante in primo piano mettendo in imbarazzo una comunità internazionale inane e intimorita di fronte a regimi che si reggono sulle minacce di coloro che non si sottomettono ai loro voleri, sulla sistematica manipolazione delle opinioni pubbliche e il massacro di intere popolazioni viste come impedimenti all’espansione dei loro poteri.
Come Movimento Europeo di Azione Nonviolenta (Mean) mentre dal 1 al 5 ottobre eravamo impegnati nella nostra quattordicesima missione in Ucraina, ci siamo sentiti totalmente solidali con quelle imbarcazioni e la loro denuncia, quasi che i nostri corpi, di noi 110 attivisti costruttori di pace italiani diretti a Kharkiv, l’antica capitale che si trova a 35 km dal fronte, fossero essi stessi una specie di fragili vele.
Le due situazioni di guerra hanno ognuna profonde radici storiche specifiche e singolari, ma una delle diversità più eclatanti è che mentre la storia del popolo palestinese, pur da punti di vista contrastanti è stata ampiamente studiata e discussa, gli ucraini come popolo sono veramente venuti alla ribalta solo dal 22 febbraio 2022 in poi. Pochissimi di noi del Mean sapevano in precedenza del referendum del 1991 in cui più dell’80% della popolazione (compresa Crimea e Donbass) ha votato per il distacco dall’ex Urss e per l’indipendenza; del Memorandum di Budapest del 1994 che ha sancito la consegna degli arsenali nucleari ucraini alla Russia in cambio del rispetto dei confini; del 75% di voti al partito «Servitore del popolo» di Zelensky nel 2019, degli accordi di Minsk, per non parlare dell’Holodomor, il genocidio per fame di oltre sei milioni di contadini accusati di contestare il sistema della proprietà collettiva, perpetrato dal regime sovietico negli anni 1932-1933. L’Holodomor, abbiamo scoperto, è una di quelle tragedie che il popolo ucraino non dimenticherà mai e che ne segna il carattere: quei contadini che preferivano morire piuttosto che abbassare lo sguardo di fronte alla arroganza dei “commissari del popolo” che imponevano di rinunciare alle terre custodi dei sacrifici loro e dei loro avi, sono, assieme alla mitologia para-anarchica sugli antenati cosacchi, uno degli archetipi che si ritrovano anche nella attuale reazione di popolo contro quest’ultima aggressione. L’Holodomor è stata una cruenta espropriazione collettiva che mutatis mutandis ricorda la Nakba per i palestinesi e le retate nei ghetti nella memoria storica degli ebrei.
Il Mean è stato fondato dal grande e purtroppo scomparso Riccardo Bonacina, fondatore della rivista mensile “Vita” e uno dei promotori della legge sul terzo settore, una delle più avanzate in Europa; da Angelo Moretti, inventore dei Piccoli comuni del Welcome; e da me stessa, in quanto esperta in arte di ascoltare e gestione creativa dei conflitti, a cui si è subito aggiunto Marco Bentivogli, portavoce di un sindacalismo in fase di autocoscienza. Siamo nati come un arcipelago di associazioni e singole persone determinate a portare “un milione di europei” disarmati al fianco di una società civile vicina di casa sotto attacco e con l’idea langheriana che la Ue deve tornare ad essere, come dopo la Seconda guerra mondiale, il continente garante di gestione creativa dei conflitti al suo interno e nel mondo. Le associazioni e reti varie unitesi al Mean all’inizio erano una quarantina, adesso sono il doppio, con l’adesione di molte delle principali sigle nazionali cattoliche e laiche i cui dirigenti erano con noi a Kharkiv (e al ritorno su quel treno nel bel mezzo della tempesta di droni e missili russi dalla quale siamo usciti per fortuna tutti illesi).
Dicevo che il principale elefante nella stanza, relativamente alla guerra in Ucraina, è la non-conoscenza della sua società civile che man mano siamo andati conoscendo assieme a loro, grazie agli incontri faccia a faccia in ascolto delle loro storie di vita, di come stanno vivendo l’emergenza bellica e le discussioni su cosa loro 
-e noi- stavamo imparando. Perché la prima cosa ...[continua]

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