Guido Armellini ha insegnato italiano e storia a Bologna nella scuola secondaria, didattica della letteratura all’università di Padova, letterature comparate all’università di Verona. Attualmente è direttore tecnico-scientifico dell’università "Primo Levi” di Bologna. Elisabetta Cammelli: psicologa e psicoterapeuta, è impegnata nella scuola per immigrati e nelle attività della Rete Laica di Bologna.

La vostra scuola per stranieri va avanti ormai da anni e, mi dite, continua a crescere. Potete raccontare?
Guido. Sì, è una realtà cresciuta in maniera molto spontanea nel corso di 17 anni, che via via ha assunto dimensioni molto grandi: l’anno scorso 609 iscritti e più di 60 insegnanti. Come è potuto succedere? Penso che le spiegazioni siano due.
Una è che il nostro è uno di quei casi in cui il caos genera ordine. Intanto le riunioni degli insegnanti sono sempre piacevoli, uno se ne esce allegro, quando invece la mia esperienza di riunioni è stata sempre un po’ triste. In realtà siamo persone che lavorano in maniera molto anarchica, e che si coordinano successivamente. Penso sempre alla metafora delle termiti strategiche citata da Marianella Sclavi. Queste costruzioni meravigliose, i termitai, nascono in realtà in una maniera molto strana. Le singole termiti cominciano a fare ognuna un mucchietto a modo suo, anche secondo le condizioni del terreno. Poi via via si aggiungono dei ponti, che vengono costruiti di volta in volta in modo diverso, non secondo un disegno predefinito; così i termitai diventano questa meravigliosa costruzione, perfettamente ordinata. Ecco, anche noi nel tempo ci siamo dati degli embrioni di organizzazione, ma in corso d’opera, partendo via via dalle singole esperienze e situazioni che si presentavano.
La seconda cosa è l’estrema eterogeneità, conseguenza della regola che ci siamo dati dall’inizio: prendere tutti, tutti gli studenti e tutti gli insegnanti. Non è una scelta da poco, perché vuol dire prendere anche studenti senza documenti e prenderli man mano che arrivano nel corso dell’anno, il che crea una situazione di per sé abbastanza stressante, perché devi essere in grado continuamente di assorbire nuove persone. Poi prendere tutti gli insegnanti, perché anche in questo non operiamo nessuna selezione: di fatto siamo molto eterogenei, cioè siamo gente che non si conosceva, che viene dalle più diverse provenienze culturali e ideali, anche se la scuola parte per iniziativa della chiesa metodista. Non abbiamo una personalità giuridica e quel po’ di istituzionalità che ha la scuola le viene dalla chiesa metodista: il comune di Bologna ci ospita in locali dati in concessione alla chiesa e alla chiesa giungono i finanziamenti che ci vengono dall’8 per mille valdese....
Elisabetta. La scuola non ha una sua convenzione e le persone che ne fanno parte sono le più svariate. Ne sentono parlare e arrivano, c’è un turnover, naturalmente. Per esempio i giovani stanno un anno, due, poi cambiano…
Guido. Riceviamo telefonate da persone che ne hanno sentito parlare della scuola e vogliono insegnare. Ogni anno in settembre facciamo una due giorni, un weekend residenziale per insegnanti, per parlare dell’anno precedente e dell’anno successivo, e una volta ci siamo chiesti come mai fossimo arrivati lì, e più di uno ha detto: "Sono qui perché qui mi avete preso”. Nel senso che erano andati al sindacato, alla parrocchia, ecc. ecc., e non è che gli avessero detto di andare via, ma avevano avvertito una situazione nella quale in qualche modo dovevi essere della tribù... Qui no. Qui ci viene da prendere tutti e quindi prendiamo tutti, insegnanti e studenti. Per dire, a differenza di altre scuole, non accogliamo solo gli stranieri "poveri”. Se viene uno che fa l’Erasmus, noi lo prendiamo; per esempio c’è stato John, un ragazzo inglese che lavorava al Cnr, e una signora tedesca che ha risieduto per un anno in Italia e voleva imparare la lingua, e alla fine dell’anno ha voluto a tutti i costi dare un’offerta alla scuola. Ci sono persone che potrebbero benissimo pagarsi un corso più ordinato e "canonico”, ma a cui piace imparare l’italiano lì dentro, in quel grande miscuglio... Questa la riteniamo una cosa positiva perché la scuola non deve essere il ghetto dei poveri.
Elisabetta. Forse è giusto dire che c’è un terzo aspetto che fa funzionare questa mescolanza di studenti e insegnanti: che non si va troppo a fondo su specifiche questioni politico-partitiche. ...[continua]

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