Ritrovare una tradizione, ritrovare un passato con cui confrontarsi, che non fosse solo quello delle macerie lasciate dal collasso del pensiero unico della sinistra, il comunismo e il cosiddetto socialismo scientifico, è stato importante e anche un grande sollievo: non era affatto vero che “non si poteva non essere stati comunisti”, lo si poteva eccome. Il socialismo umanista, pur sconfitto, non aveva mai smesso di produrre straordinarie figure di militanti e intellettuali cui la storia aveva dato ragione -tutti gli altri mai. In questo modo la critica delle nostre idee di un tempo diventava anche, seppur più aspra, in qualche modo positiva, attiva. Scoprire il pensiero di Proudhon, come già avevano tentato di fare i socialisti, senza seguito, purtroppo, ci ha poi portato a conoscere figure come Andrea Caffi e Nicola Chiaromonte, che non conoscevamo, o come Osvaldo Gnocchi-Viani, il “fondatore di tutto”, rimosso dai manuali di storia della sinistra. Un incontro per noi decisivo è stato quello con intellettuali militanti come Gino Bianco e Pino Ferraris. Gino, “allievo di Chiaromonte”, ha prestato la firma alla nostra rivista fino alla morte. Pino un giorno ci mandò una mail in cui ci diceva che il nostro interesse per l’altra tradizione era fondamentale e da allora la collaborazione non è mai cessata.
Il socialismo è stato irriducibile alle categorizzazioni più o meno "scientifiche”...
Il socialismo non si può racchiudere in formule, magari "aperte”: il socialismo si può solo narrare attraverso le vite e le parole dei socialisti. Di questa narrazione è paradigmatica la figura del militante e pensatore francese Pierre Joseph Proudhon, socialista libertario ispiratore e avversario di Marx, le cui idee furono fatte proprie dalla destra cattolica o nazionalista e dal sindacalismo rivoluzionario, dal liberalismo più conseguentemente radicale e dall’anarchismo, come dal riformismo più moderato, mai completamente accettate da alcuno. Nell’opera di Proudhon troviamo già tutte le questioni -dalla differenza sessuale al federalismo, dalla libertà individuale alle regole necessarie del vivere in società, dal bisogno di mutamento alla necessità di continuità- che fecero sorgere le idee e i movimenti socialisti, anarchici, riformisti, comunisti.
Si parla ormai apertamente di una probabile fine del Partito socialista italiano, dovuta alla crisi provocata dallo scandalo di Tangentopoli, e si dice pure che tale fine sarebbe anche la fine della tradizione socialista. Eppure il tentativo craxiano si era presentato con il proposito di rinnovare questa tradizione, sganciandola definitivamente dal marxismo...
Fu il discusso "ritorno a Proudhon”, un pensatore fino ad allora quasi dimenticato che aveva cercato di trovare le strade di un cambiamento sociale radicale senza ricorrere alla rivoluzione catartica, escatologica. I primi dibattiti dell’Internazionale furono proprio incentrati su questa problematica e proprio a questo dibattito si riallacciarono Craxi e gli intellettuali che lo affiancavano (Paolo Flores D’Arcais, Luciano Pellicani, Federico Cohen, alcuni dei quali, viste le giravolte politiche craxiane, dopo un po’ lo abbandonarono). Cercando di definire una teoria politica socialista che facesse i conti con la realtà del capitalismo "post-moderno” pensarono fosse necessario andare all’origine di questa stessa tradizione. E all’origine c’è, appunto, anche Proudhon. Questi era un personaggio fuori da ogni schema: autodidatta, per molti anni tipografo, con una cultura enciclopedica, amico di Victor Hugo e di Baudelaire. Avrebbe voluto essere un filosofo, ma, anche se si poneva il problema del grande sistema teorico, era dichiaratamente asistematico ed è anche per questo che da molte sue intuizioni hanno preso spunto le correnti politiche più disparate. La teoria politica più vicina a Proudhon è certamente l’anarchismo, ma nel primo ‘900 anche una parte della destra francese si rifece a lui, così come a lui si rifece Georges Sorel nel percorso teorico che, partendo da una riflessione critica sulla teoria marxista della lotta di classe, lo portò poi a teorizzare la lotta delle nazioni proletarie contro quelle ricche, una teorizzazione in seguito fatta propria dal fascismo. Da Proudhon, seppure indirettamente, trasse ispirazione anche John Stuart Mill per il suo Saggio sulla libertà che è quasi un Vangelo del liberalismo anglosassone. Racconta Mill nella sua autobiografia che l’idea della "sovranità dell’individuo”, centrale nel saggio, egli la trovò già esposta nelle sue linee fondamentali negli scritti di un individualista anarchico americano, Josiah Warren. Questi, in parte influenzato da Proudhon, passò la vita a fondare comunità sperimentali che mettevano in pratica sistemi mutualistici di produzione e organizzazione della vita sociale; alcune di queste comunità vissero per oltre mezzo secolo. Marx diceva di lui che "in Germania gli perdonano di essere un cattivo filosofo perché passa per un buon economista francese, in Francia gli perdonano di essere un cattivo economista perché passa per essere un buon filosofo tedesco”. In realtà non era né un economista, né un sociologo, anche se poi molti lo considerano uno dei fondatori della sociologia, e neppure un filosofo: era uno che aveva la passione per il pensiero e per la politica, che scrisse moltissimo (i suoi scritti completi superano i 40 volumi), che visse e agì in un momento particolare della storia d’Europa: quello delle grandi trasformazioni che portarono all’affermazione del capitalismo e alla nascita dei movimenti socialisti e operai. Marx, che aveva conosciuto Proudhon a Parigi nel 1844, diceva di averlo "infestato di hegelismo” e le discussioni fra Marx, Proudhon e Bakunin, che spesso duravano interi giorni, divennero quasi leggendarie.
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