Khalida Messaoudi, classe 1958, per anni insegnante di matematica ad Algeri, è una protagonista del movimento femminista algerino. Condannata a morte dai Gruppi Islamici Armati (Gia) nel giugno 1993, ha vissuto per qualche anno in clandestinità. 
 
Il codice della famiglia resta uno dei problemi principali con cui vi trovate a lottare. Come si spiega che l’Algeria, un paese entrato nel cuore di un’intera generazione per la sua rivoluzione, abbia potuto partorire un obbrobrio simile?
È sotto la presidenza del colonnello Chadlij Bendjaidid, nel 1984, che l’assemblea del partito unico, l’Fln, adottò quello che le donne algerine chiamano il codice dell’infamia. Nel disciplinare le relazioni fra uomini e donne all’interno della famiglia, questo codice relega le donne in uno status di minorenni a vita perché le pone sotto tutela di un uomo, sia esso il marito, il fratello, il padre o, in assenza di un qualsiasi parente maschio, un giudice uomo. Se una donna come Leila Aslaoui, una delle prime donne magistrato dell’Algeria indipendente, già ministro, il cui marito è stato assassinato dal terrorismo integralista due anni fa, oggi decidesse di risposarsi, naon avrebbe il diritto di concludere da sola il proprio matrimonio, perché considerata sotto tutela. Chi potrebbe concludere il suo matrimonio? Suo fratello, suo padre o anche suo figlio che è maggiorenne, ma, se non ci fosse nessuno di questi, a decidere sarebbe un suo collega maschio!
In questa legge si parla sempre di un padrone e di qualcuno che è sottoposto ai voleri del padrone: la donna ha l’obbligo di obbedienza al marito. Inutile dire che, così, la donna e l’uomo non sono compagni di vita. La legge dice anche che la donna deve rispettare i parenti del marito. Vi posso giurare che i parenti di mio marito -provenendo dalla montagna e dalla campagna come la maggior parte degli algerini- comprendono i componenti di tutto il villaggio di origine. Il che vuol dire che se il cugino della cugina di mio marito viene a farmi visita e io, per via dei miei tre o quattro figli, sono troppo stanca per offrirgli il caffè, posso cadere nei rigori della legge, perché non ho rispettato il parente di mio marito.
Ovviamente la poligamia è legalizzata: un uomo può sposare più donne. Non solo: l’uomo ha il diritto di divorziare come vuole, quando vuole, perché la legge stabilisce che il divorzio può essere concesso sulla base della semplice volontà del marito. Il giudice si limita a riconoscere questa volontà. Di fatto è un ripudio mascherato ipocritamente con la parola "divorzio”. Quando il divorzio è concesso, la legge stabilisce che il domicilio coniugale spetta al marito mentre la donna è invitata a tornarsene dal suo tutore matrimoniale portando con sé i figli, di cui conserva la custodia, ma, si badi bene, non la patria potestà. Così, nel caso non abbia più alcun tutore o questi sia troppo povero per accoglierla, la donna si ritrova sulla strada. Una donna magistrato ci ha informate che nel corso del 1995, nel solo dipartimento di Orano, mille donne sono state sbattute per strada, espulse dal domicilio coniugale dopo il divorzio, e 850 di loro con i propri bambini. Se pensiamo che da noi ogni famiglia ha in media sette figli... Per dare un’idea dell’ampiezza del fenomeno, ricordo che l’Algeria ha ben 48 dipartimenti.
Sgombero subito il campo da un equivoco: cioè, che questo codice sia l’islam, come in genere sostengono i mass-media occidentali quando parlano di noi. Quella musulmana, come le altre religioni, dipende dalle persone che la professano e la utilizzano. Io provengo da una famiglia marabut, di responsabili religiosi a livello locale, e nella nostra pratica della religione musulmana noi diciamo che il matrimonio è l’atto che più di ogni altro piace a Dio, per cui bisogna facilitarlo. Se una donna vuole sposarsi, bene, Dio sarà contento, si legalizza questa volontà e si fa tutto quello che occorre per facilitare le cose. Racconto questo perché penso che la legalizzazione dell’oppressione della donna, dell’inferiorizzazione della donne, sia un atto primariamente politico.
Tant’è che ci sono tante letture dell’islam quante sono le convinzioni politiche e filosofiche. In Tunisia, un paese del Maghreb dove si parla la nostra stessa lingua, dove c’è la nostra stessa religione, abitato dallo stesso popolo, il presidente Bourghiba nel 1956 convocò gli ulema della Zitouna, i dottori della legge islamica dell’Università islamica di Tunisi, e ...[continua]

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