Rosaria Casaccia, dal 1962 al 1978, ha insegnato l’italiano ai giovani di leva soprattutto meridionali che non sapevano leggere e scrivere, nelle scuole reggimentali della caserma Osoppo di Udine.

Il mio primo giorno di scuola è stato catastrofico: avevo 19 anni; io poi sarò 1 metro e 46 di altezza, e sono arrivata accompagnata dalla mia mamma. Perché per me insegnare in caserma era la morte civile, avevo una paura terribile; poi sai a Udine: "Non parlare coi militari", "Oh, i militari!", i militari erano già un mondo da evitare.
D’altronde avevo fatto domanda e mi avevano preso. Così arrivai, appunto, accompagnata dalla mamma e mi rivolsi all’ufficiale di picchetto, ma senza dire chi ero; chiesi del cappellano militare, che era un uomo di Monza, un gigante, molto burbero, ma bravissimo perché voleva proprio bene a questi ragazzi. Ebbene, quando arrivò questo omone con le mani sui fianchi e mi vide accompagnata dalla mamma -chissà cosa avrà pensato- chiese: "E voi cosa volete?", e io: "Ecco, sono la nuova maestra". Me lo ricordo come fosse ieri: di colpo s’è messo le mani sui capelli, disperato!
Ho cominciato a insegnare nella caserma Osoppo nel ’62, appena concluso le magistrali; le scuole reggimentali esistevano già da alcuni anni. A quel tempo il servizio militare era di 18 mesi. Il nostro corso però durava solo qualche mese, per cui durante l’anno si avvicendavano tre scaglioni.
Le presenze generalmente erano saltuarie così il programma finiva per essere abbastanza raffazzonato e legato alla situazione contingente. La provenienza da regioni così diverse non ti permetteva nemmeno di elaborare un programma di italiano, di matematica. E allora la cosa importante, una volta presa in mano la situazione, era quella di fargli conquistare la licenza elementare; alcuni si erano fermati magari alla seconda, ma molti non erano nemmeno andati a scuola, quindi avevamo una specie di pluriclasse: c’era il contadino che prendeva in mano la penna come fosse una zappa, e c’era invece il ragazzo, magari più motivato, che aveva già la terza elementare.
L’obiettivo primario era insegnar loro a leggere; un programma di italiano non era pensabile perché avrebbe portato via troppo tempo: in due ore dovevi fare italiano e aritmetica, perché dovevano anche imparare a contare, a fare i calcoli; c’era chi andava al cinema e per pagare il biglietto tirava fuori tutti i soldi che aveva, senza sapere a quanto corrispondessero.
Sono entrata piena di teorie e aspirazioni, poi ho capito che dovevo lasciar perdere tutta la mia impostazione e imparare innanzitutto a capire il loro linguaggio, perché ti assicuro che alcuni dialetti erano incomprensibili per me: il 70% non aveva mai parlato italiano; c’erano ragazzi che quando erano stati messi sul vagone era la prima volta che vedevano un treno. I primi dieci anni ho avuto degli analfabeti puri; ho avuto ragazzi pastori, marinai. Di storie ce ne sarebbero tante, e comunque sono diventate comiche nel ricordo, perché io allora arrivavo a casa piangendo.
C’era un ragazzo di Pantelleria che non sapeva nemmeno fare la firma; immagina di essere preso e di essere buttato in un altro pianeta perché così era stato trovarsi nella terraferma, tra l’altro a far cose per lui assolutamente senza senso. Perché i nostri ragazzi finivano nelle cucine, di ramazza, del resto non sapevano leggere per cui non entravano mai in un ufficio o in posti di qualche responsabilità; e quindi passavano il tempo così, per questo erano incattiviti, arrabbiati.
Comunque questo ragazzo di Pantelleria ogni volta che poteva andava e prendeva il primo treno. E quando aveva le sue due licenze -al tempo c’erano licenze lunghe, ma pochissime- dovevano andarlo a prendere in barca. E allora magari ti chiedevi: sì il sacro dovere del cittadino, il servizio militare, ma che senso aveva per questi ragazzi?

Nel ’68, le scuole reggimentali sono diventate di ruolo, per cui c’è stato un concorso nazionale e anche l’orario è cambiato: dieci mesi di scuola, dal primo settembre al trenta giugno, senza le vacanze e quattro ore al giorno, obbligatorio.
A quel punto tutto è cambiato perché i comandanti erano responsabili della frequenza scolastica e poi c’erano gli esami, così per diversi anni le cose sono andate meglio perché questi ragazzi passavano il pomeriggio a scuola e dopo i primi mesi di resistenza assoluta c’erano queste bellissime scoperte di persone intelligenti, sensibili.
Ieri, ho ritirato fuori dei vecchi ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!