Egregio sig. Direttore, io, Bruno Cendak matr. 11940, (età 51 anni, 25 passati in azienda), con molta difficoltà e dopo molti ripensamenti le scrivo questa lettera. L’argomento trattato mi sta molto a cuore e mi rendo conto dell’inefficacia della parole che uso per cercare di far capire a un’altra persona il mio pensiero senza che esso possa subire una interpretazione travisante.
Come lei sa, in una occasione ne abbiamo parlato, io sono l’autore di uno dei tre brevetti di cui è proprietaria la D.a. (quello riferentesi alle camicie cilindro). Nel corso del 1994, dopo una vertenza legale e dopo il pagamento di una somma superiore al miliardo di lire, è stata data licenza di utilizzo di tale ritrovato alla MAN-B&W. Ho saputo ciò in via ufficiosa, da indiscrezioni. Tale evento implica alcune considerazioni: viene attribuita una qualificazione oggettiva (quantizzabile monetariamente ed esterna all’ambiente aziendale) all’invenzione perché l’acquirente è costituito dal gruppo dieselistico maggiore al mondo nel campo dei motori a 2T. Tale qualificazione è in paradossale contraddizione con la mia collocazione e l’utilizzo del mio lavoro all’interno della azienda. Non vengo “usato” per quello che so esprimere. E questo rappresenta sicuramente un danno per la funzionalità dell’azienda oltre ad essere per me un trattamento ingiusto ed offensivo” ...
Questo è l’inizio della lettera che mi decisi a scrivere all’amministratore delegato. Ma erano passati già 19 anni dal mio “ritrovato”… Il fatto di non dirmelo neanche, di non dirmi, che so, un grazie mi ha colpito. Non è che pretendessi alcunché, avere idee fa parte del mio lavoro, quindi l’idea è proprietà della ditta, non ho mai contestato questo fatto, però potevano dirmelo. L’ho sentito dire da qualcuno per caso, e poi andandomi a spulciare il bilancio che è pubblico, ho trovato la voce: unmiliardotrecentodieci, ben specificata. Comunque che l’azienda avesse ricavato quella cifra da quel brevetto è stata una soddisfazione… E nella lettera concludevo:
“Dove debbo rivolgermi (senza subire censure pregiudiziali) nel caso avessi ideato qualche soluzione innovativa riguardante i motori di nostra progettazione?
Trieste 18/03/95”.
Da ragazzo sapevo già cosa volevo fare. Quando sono uscito dalle scuole elementari avevo già questa passione per le cose tecniche, per la motoristica, per gli aerei. Non so perché, forse è stata l’epoca del dopoguerra; nei primi anni ‘50, i mezzi di informazione tendevano, spingevano verso l’idea del progresso, della tecnologia. Forse ho subìto l’impronta di quell’epoca, così come la subiscono i giovani di oggi. Magari gli individui, gli esseri umani potessero sviluppare delle concezioni molto più indipendenti, forse questo sarebbe un vantaggio per la libertà..., non so, fatto sta che da ragazzino ho avuto questa passione, e predisposizione, per le cose tecniche, ero portato a cercare di trovare delle soluzioni sul campo dei motori, cose del genere.
Tra l’altro questa forma di auto-istruzione in tale campo mi aveva comportato anche degli svantaggi scolastici perché studiavo le mie cose e non studiavo le materie dell’obbligo. Tant’è vero che dopo due anni di professionali, ho deciso che la scuola non faceva per me e sono andato a lavorare, a quindici anni, nel 1959, in una officina meccanica che era in questo cortile, proprio qua sotto, e dopo in una fabbrica di lampadine. Però frequentavo le scuole serali per motoristi, e lì l’insegnante che lavorava anche all’istituto tecnico per i periti industriali, mi disse: ma perché non vai a fare l’istituto tecnico? Aveva visto che ero portato per questa roba, e allora dopo ho ripreso, facendo un esame per passare dalla seconda delle scuole professionali al secondo anno dell’istituto tecnico. E sì, lì la scuola era proprio adatta a me perché mi forniva quelle cognizioni di cui avevo bisogno per sviluppare le mie idee; quella infatti è andata benissimo, non avevo difficoltà, ero il primo della classe sempre, prendevo anche dieci. Ecco, ho avuto questo percorso un po’ strano, a zig zag. Dopo l’istituto tecnico sono andato anche a ingegneria, ma dopo aver concluso il biennio, ho conosciuto mia moglie, avevo voglia di avere una vita indipendente dalla famiglia, di sposarmi, così sono andato a lavorare alla Fabbrica Macchine Sant’Andrea, nel ‘69. ...[continua]
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