E’ stata un’idea di Rafael: abbiamo affittato un locale per un mese, e non è normale che si affitti per un mese, un locale si affitta, minimo, per un anno, infatti nessuno ce lo voleva affittare; alla fine lui ha trovato una donna, le ha detto: “Guardi, signora, io sono un biologo che deve andare via dall’Argentina, ho bisogno di questo locale per mettere lì tutti i miei mobili, tutta la mia roba per poi venderla, perché ho bisogno di soldi per andarmene”, e lei ha accettato: “Va bene, se è così, se lei va via, io glielo affitto per un mese”, si è un po’ commossa.
Questo locale era proprio sulla strada e lì abbiamo messo tutta la nostra casa. E’ venuta della gente che aveva bisogno.
Abbiamo fatto anche dei volantini, io andavo in giro, li consegnavo a mano, spiegavano che c’era della roba che costava molto poco e che noi andavamo via, quindi era quasi un regalo; prima sono venuti dei signori a cercare degli attrezzi, poi la gente dei quartieri che veniva per il televisore, il frigo, la lavatrice o altri elettrodomestici. Abbiamo messo annunci sul giornale, in Internet, abbiamo riempito tutto il locale con i prezzi; il cartello diceva: “Noi ce ne andiamo, svendiamo tutto” e così, man mano, è andato via tutto; sono rimaste alcune cose come l’armadio, la macchina e altri mobili piccoli, quelli che costavano di più, la gente non aveva tanti soldi; comunque, siccome tutto il resto l’abbiamo praticamente regalato, abbiamo venduto tutto.
Alla fine ci siamo detti: “Ma questo negozio va benissimo!”, avremmo dovuto rimettere della roba, bisognava cercarla e metter su un’attività come ho visto qui: “Svuotiamo la vostra cantina”.
No, il negozio non l’abbiamo voluto fare nel nostro quartiere perché era troppo imbarazzante; abbiamo abitato lì per più di quindici anni, quindi ci conoscevano proprio tutti, sapevano chi era Rafael, chi ero io; se qualcuno domandava: “Dove abita Raffaele”, qualsiasi persona sapeva: “Sta da quella parte”. Insomma, ci vergognavamo un po’ a farlo nel nostro quartiere…
L’abbiamo fatto in un quartiere dove, forse, c’erano più soldi che nel nostro, che è un quartiere tutto d’immigranti. Il nostro è il classico quartiere d’immigranti ebrei, ma anche arabi e poi greci; era un po’ una Gerusalemme, con le sinagoghe, le moschee, le chiese ortodosse... poi, sono arrivati i coreani, quindi altri immigrati, nuovi, e anche loro hanno messo la loro chiesa. Molto bello, già. Anche adesso abitiamo in un quartiere d’immigranti: ci hanno detto che a San Salvario abitano molti immigrati, vedremo, è il nostro destino.
Uno nella vita ha delle aspirazioni, cose che vorrebbe riuscire a fare. Noi ci siamo trovati a quasi cinquant’anni senza essere riusciti mai ad avere un lavoro sicuro, una prospettiva, sempre con dei problemi per arrivare alla fine del mese. Io facevo l’artigiana, ma le mie cose non le vendevo più, perché erano carissime per il turismo, e anche Rafael è rimasto senza lavoro.
Lui lavorava nell’Istituto Malbrandi che produceva i vaccini, anche il siero antiofidico, per cui usava pure le vipere per estrarre il veleno per fare questo siero, ma quando è arrivato, il nostro presidente Menem ha avviato una ristrutturazione, così l’Istituto è stato privatizzato e lui è stato licenziato. In seguito ha trovato un altro lavoro, ma che non aveva niente a che vedere con le sue competenze: doveva raccogliere informazioni dagli ospedali per inserire i dati nel computer, comunque lo licenziarono anche lì perché c’era stato un secondo taglio, in quel periodo poi è morto il padre di Raffaele…
A quel punto niente più ci teneva legati al nostro paese.
In Argentina c’è sempre questo sguardo sull’Europa, i nonni parlavano ai loro figli e nipoti dell’Europa. C’era il mito dell’Europa: gli europei “sono più intelligenti, più bravi, stanno davanti su tutto”... Penso sia dovuto anche al fatto che ...[continua]
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