Paolo Cottino, 25 anni, sta svolgendo un Dottorato di ricerca in Pianificazione e Politiche Pubbliche del Territorio presso lo Iuav di Venezia. Vive a Milano.

Due anni fa è venuta fuori l’idea di fondare una cittadella all’interno di Milano, anche per dare visibilità e concretezza a tutta una serie di relazioni fra gruppi e soggetti che avevano in comune la pratica dell’autogestione nelle diverse dimensioni della vita quotidiana: dall’abitare al lavorare, al mangiare, alla salute, al tempo libero…
Insomma, ci siamo detti: troviamo un posto, lo compriamo e creiamo una cittadella che rappresenti il tentativo di sperimentare o, comunque, di far vedere che è possibile un modo diverso di vivere anche qua dentro; non è necessario andarsene sull’isoletta per essere libertari -è una bella parola “libertari”.
Adesso abbiamo trovato questo posto, alla Barona, in una zona difficilissima, periferica, di cascine, sottoposta a duemila tutele, per cui ci si potrebbe immaginare un parco straordinario; in realtà, da un lato c’è l’avanzare della periferia milanese con i suoi palazzoni e i suoi aspetti aberranti, dall’altro è la sede o, comunque, il contesto, dove si è sviluppata la ‘ndrangheta calabrese a Milano e ci sono traffici di spaccio pesante, insomma è una zona abbastanza franca, per cui la polizia sembra che non entri neanche.
Tuttavia collocare questo progetto all’interno di quel contesto partiva anche dal presupposto o, comunque, dalla convinzione, che non c’è intervento istituzionale che tenga: questi tipi di luogo cambiano se c’è qualcuno che ci va a fare delle altre cose.

Da qualche anno faccio parte del collettivo di autogestione della Torchiera, una cascina del ‘300 occupata da sette anni, che si colloca lungo il bordo del Cimitero Maggiore, in una zona di capannoni industriali, ai bordi della ferrovia, ai margini di un quartiere le cui principali attrazioni sono gli esercizi commerciali che vendono marmo per il cimitero; una zona assolutamente abbandonata a se stessa, dove c’è anche la sede della Protezione Civile che, viste le politiche sociali del Comune, rappresenta uno degli unici luoghi dove viene fatta la prima accoglienza a Milano e neanche sempre. La cascina è di proprietà demaniale, ma il Comune la stava lasciando andare in pezzi, per cui c’erano le mura diroccate, i tetti non esistevano... Lì dentro si è avviato questo progetto collettivo di realizzazione di uno spazio sociale, di cui la zona è assolutamente priva, da parte di un gruppo di persone, in parte del quartiere, in parte che venivano da tutta la città.
Il progetto di Torchiera prevedeva da un lato l’auto-ristrutturazione dello spazio e dall’altro la sua destinazione a spazio sociale. Insomma, per farla breve, siamo in una situazione per cui c’è questo posto, abbiamo quasi ultimato l’intera ristrutturazione dei tetti e la metà della cascina è completamente agibile da tempo ed è, ormai, un punto di riferimento per duemila iniziative nell’ambito di un panorama culturale ben specifico della città di Milano. C’è poi una particolare concezione della libera circolazione del sapere, perché non si organizzano corsi, ma “palestre” e, quindi, momenti di condivisione e di scambio di interessi, passioni e competenze, per il puro gusto di condividerle. Ecco, un esempio è la pratica della giocoleria e l’arte di strada più in generale, che è nata a partire dall’interesse di alcuni e pian piano è diventata uno degli elementi che ci caratterizzano. La Banda degli Ottoni è un’altra realtà analoga che ha la sua sede lì. E’ un collettivo che ha scelto di fare della musica lo strumento con cui agire politicamente all’interno della città: un progetto complesso, bello e interessante; c’è poi un gruppo di teatro e danza. Il cuore di tutto però è un collettivo che si compone di una quarantina, cinquantina di persone che autogestisce il posto, nel senso che si fa carico, da un lato, della ristrutturazione dello spazio, dall’altro dell’organizzazione di tutta una serie d’iniziative: dibattiti, incontri, concerti, serate d’informazione e controinformazione, cinema, cene popolari, ecc.

La prima ingiunzione di sgombero, che risale all’epoca Formentini, si fondava su motivi d’inagibilità, così abbiamo fatto fare delle perizie ai tecnici e si è dimostrato che non era affatto vero, perché ne avevamo già ristrutturato una buona parte risultata tutt’altro che inagibile. E’ seguita una seconda ingiunzione di sgombero per motivi di ordine pubblico, che ...[continua]

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