Giacomo Divizia ha 33 anni, operaio metalmeccanico in un’azienda siderurgica della provincia di Cuneo, attualmente è segretario della Fiom-Cgil di Cuneo.

Io ho un diploma di ragioneria, ma non ho mai pensato di fare il ragioniere, non mi piaceva neppure quel tipo di studio, l’ho intrapreso perché mi ci ha spinto la famiglia e allora per me una scuola valeva l’altra. Correvo in bici quasi a livello professionistico, ma quando ho mollato lo sport mi sono ritrovato senza lavoro, così, trovato posto in fabbrica, ci sono entrato e ho continuato la tradizione di famiglia: operaio metalmeccanico. In provincia di Cuneo le aziende metalmeccaniche sono parecchie, come Fiom abbiamo circa 6000 iscritti. Nella mia fabbrica lavoriamo vari tipi di acciaio, al carbonio e non; io sono addetto a una macchina dove vengono introdotti i rotoli per essere spianati e tagliati in varie dimensioni, le lamiere poi vengono confezionate in pacchetti e spedite soprattutto nell’indotto auto. Il mio impatto con la fabbrica è stato buono perché conoscevo già tanti ragazzi che ci lavoravano, con alcuni mi trovavo tutti i giorni. Per il resto era un tipico clima di fabbrica: disciplinato abbastanza rigidamente dalle gerarchie, e comunque piuttosto sereno. Le difficoltà semmai le ho trovate rispetto all’adesione al sindacato, nel senso che io vengo dall’area dei centri sociali, realtà molto variegate, che non si possono certo ridurre a organizzazioni politiche. C’è chi li identifica con l’Autonomia, ma in realtà la dimensione è più allargata, contiene anche il divertimento, la cultura, l’aggregazione, non tutti i frequentatori di un centro ne condividono necessariamente il progetto politico. Del resto anche politicamente esistono delle divisioni, il Nordest e il milanese hanno situazioni diverse da Torino. Torino mi sembra sia rimasta più fedele al mandato storico: antagonismo radicale, sia nella critica che nelle forme di lotta. Ma non si può definirla durezza. Prendiamo Askatasuna, che è il luogo da cui provengo, attualmente la strategia di una ricomposizione di tutte le figure antagoniste convive con posizioni di dialogo, e questo anche se fra i metodi di lotta l’azione diretta è ancora contemplata.
Quando li ho conosciuti avevo 19 anni e come molti ragazzi volevo cambiare il mondo. Vengo da una famiglia di sinistra, mio padre è sempre stato nella Cgil e per molti anni nel Pci, e io mi ero iscritto alla Figc, anche se lo sono stato per poco, 6 mesi. Mentre facevo il servizio civile ero andato a una riunione a Novi Ligure, dove decidemmo di fare un blocco pacifico davanti alla mostra navale bellica che si teneva a Genova. Andammo lì e ci sedemmo davanti all’ingresso, dietro ognuno di noi c’era un poliziotto in tenuta antisommossa a tenerci d’occhio, ero un po’ preoccupato. Quando poi è arrivata la gente che voleva entrare e noi ci siamo messi a scandire degli slogan e a cercare di impedirne l’acceso, la polizia ci ha caricati all’improvviso riempiendoci di botte, partivano a un metro da noi, non avevamo neanche il tempo di scappare. Mentre le stavo prendendo, da una via laterale arrivarono gli autonomi lanciando pietre verso i poliziotti e costringendoli ad arretrare. La cosa mi piacque e, in modo molto spontaneo, mi unii a loro difendendomi come potevo. Quando poi tornai nella sede del Pci mi fecero un processo sovietico, al termine del quale venni espulso per collaborazionismo con gli autonomi, testuali parole. Oggi li ringrazio ancora per questo, altrimenti forse non avrei conosciuto Askatasuna. Nei centri sociali ho imparato tantissimo, soprattutto ho imparato a dire di no, anche quando vuol dire mettersi tutti contro, se non sono d’accordo devo dirlo. L’altra grande lezione è quella della politica fatta dal basso, davvero democratica, che non metta al centro il potere. Col potere ho un rapporto di grande disagio, soprattutto adesso che faccio parte di un’organizzazione in cui c’è e si vede. Nei centri sociali invece, anche se ci sono delle forme di potere, si tende però a distribuirlo e raramente chi lo detiene lo fa per interesse. Ricordo che quando sono entrato c’erano alcuni compagni più anziani visti un po’ come figure guida e io non capivo niente, proprio niente, di politica. Andavo alle riunioni e per me era arabo. Questa di non capire è una delle cose che mi ha sempre spaventato di più, così cercai di provvedere. Mi confidai con uno dei compagni più anziani e gli dissi che ero stufo di non capire e avrei preso tut ...[continua]

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