Cristiano Antonelli, professore ordinario di Politica economica presso il Dipartimento di Economia dell’Università di Torino, è considerato uno dei fondatori dell’economia dell’innovazione. Vicepresidente dell’International Schumpeter Society, è managing editor della rivista “Economics of Innovation and New Technology”.

Lei si occupa dell’innovazione tecnologica, della comparazione fra paesi avanzati nel campo della brevettazione. La domanda verte sulla questione del declino del nostro paese. C’è o non c’è?
Occorre innanzitutto fare una premessa: affermare che l’innovazione e il cambiamento tecnologico siano al centro dell’analisi economica, e delle conseguenti politiche economiche, è una posizione che, già di per sé, non è universalmente condivisa. Quando si insegna economia, questa teoria, infatti, viene definita schumpeteriana, che non è né una posizione classica (che ritiene che le risorse si organizzino spontaneamente producendo livelli di benessere adeguati), né ricardiana, o perfino marxista, che riconducono esclusivamente al lavoro l’origine dell’accumulazione delle risorse. Quindi bisogna fare molta attenzione a come si posizionano gli economisti stessi rispetto alle varie teorie economiche, perché altrimenti è molto difficile collocare il loro tipo di analisi e districarsi tra i dati che ci presentano.
Rispetto a ciò, io ho una posizione molto chiara: per me l’analisi del cambiamento tecnologico è centrale nel funzionamento del sistema economico.
Seconda premessa: c’è una grande differenza tra fatti congiunturali e fatti strutturali, anche se sono due livelli che possono essere facilmente confusi: non si sa mai se un evento abbia carattere congiunturale o se invece sia il segno di un fenomeno strutturale. Questo, inevitabilmente, crea un secondo grave elemento di ambiguità.
Fatte queste premesse, veniamo alla questione del declino. Inoltre, è doveroso prendere in considerazione un altro dato: le statistiche economiche vengono fatte usando il dollaro come moneta di riferimento, ma sappiamo tutti che la rivalutazione del dollaro ha fatto salire, in questi ultimi due anni, il valore dell’euro di circa il 50% (era a 80 centesimi, ora è a 1,20; i 40 centesimi di differenza costituiscono esattamente il 50%). Quindi, quando tra due o tre anni, il fondo Monetario Internazionale o la Banca Mondiale presenteranno le consuete statistiche, vedremo il reddito italiano esplodere (andrà a 50.000 dollari, mentre ora è attestato sui 25.000) e ci accorgeremo, con immenso stupore, che l’Italia è diventata, nel corso del 2003/2004, in assoluto uno dei paesi più ricchi del mondo, con un reddito medio di oltre il 50% superiore a quello americano, fermo a 35.000 dollari. Come fa, allora, un paese a essere considerato in declino, se nello stesso momento raggiunge un livello di reddito inimmaginabile fino a poco tempo fa? D’accordo, sono dati di natura statistica, ma, alla fine hanno anch’essi un certo peso. Di conseguenza, che le esportazioni italiane siano diminuite soltanto del 3-4% a me sembra una notizia meravigliosa: riusciamo, infatti, ad esportare lo stesso volume di merci (una contrazione del 3% è quasi impercettibile), a fronte però di un aumento del 50% del loro costo; se infatti prima costavano uno adesso costano 1,5. Dov’è allora il disastro? Anzi, si potrebbe ragionevolmente affermare che vendiamo merci assolutamente strategiche e insostituibili, che siamo evidentemente gli unici a produrre, visto che continuano a comprarcele a dei prezzi esplosi.
Ultimo dato: vorrei non si dimenticasse che l’occupazione in Italia non ha mai raggiunto gli attuali livelli. Un paese che dà lavoro a un tale numero di lavoratori, siano essi friulani, pugliesi o maghrebini, è un paese che non può essere qualificato in declino. Capisco che questa crescita sia anche, sicuramente, l’effetto di un miraggio di natura istituzionale, in quanto la Fini-Bossi ha regolarizzato 800.000 lavoratori che probabilmente già esistevano, però comunque parliamo di fenomeno recenti, di lavoratori che hanno trovato occupazione negli ultimi due o tre anni.
Dunque, il mio giudizio sul declino è molto cauto, ritengo infatti che stiamo attraversando un periodo di prolungata stagnazione (caratterizzata dalla mancanza di crescita), con alcuni fenomeni di declino sui mercati internazionali, che peraltro, visto la congiuntura valutaria, forse sono anche più semplici da capire di quanto non sembri a prima vista. Però questo quadro non ha n ...[continua]

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