Benno Röggla è fondatore e presidente dell’associazione “Aiutare Senza Confini”. La sua vita oggi si divide tra il lavoro di consulente aziendale a Bolzano e una missione di assistenza nell’Asia del Sud.

Qualche anno fa è morto in un incidente mio fratello. Era la prima volta che un lutto così grave colpiva la mia famiglia. Io vivevo già una crisi personale e così ho deciso di partire, di andare lontano, per fare chiarezza dentro di me.
Sono andato in Thailandia e di lì c’era un volo molto conveniente per la Birmania. Ho avuto la fortuna di trovare qualcuno che mi portasse in giro e mentre eravamo soli in macchina mi ha fatto fare una full immersion nella situazione tragica di quel paese, che troppi conoscono solo dai grandi alberghi lussuosi e dalla bellezza strepitosa dell’architettura e del paesaggio.
Ho poi incontrato una donna, che successivamente si è fatta monaca buddista -proprio oggi ho ricevuto la sua foto. Ho aiutato lei e suo figlio, li ho fatti venire qui da noi per un po’ di tempo e in quell’occasione con la Gesellschaft für Bedrohte Völker (Associazione per i popoli minacciati, un’organizzazione tedesca che si occupa di minoranze e di popoli in tutto il mondo, sostenendone le aspirazioni all’autonomia e in certi casi all’indipendenza) abbiamo organizzato dei workshop. In quell’occasione ho incontrato anche Min Zaw, poi diventato mio amico. Grazie a un sudtirolese di Nalles (un paesino vicino a Bolzano) che ha riaperto la rappresentanza della Croce Rossa internazionale a Rangoon nel 1998 e ha organizzato tutta la struttura in Birmania, prima di dedicarsi ai profughi lungo il confine con la Thailandia sempre per la Icrc, sono riuscito a far trovare un posto di lavoro anche a questo mio amico. Da quel momento non avevo più bisogno di aiutare le persone che avevo incontrato e mi sono potuto guardare intorno.
Sapevo della situazione dei profughi, e così nel 2001, assieme ad altri, abbiamo cominciato a dedicarci a questo. Abbiamo fondato un’associazione Helfen Ohne Grenzen/Aiutare Senza Confini, (www.aiutaresenzaconfini.org o www.helfenohnegrenzen.org) come strumento per poter lavorare meglio. I primi quindici o sedici mesi abbiamo raccolto soldi per un’ostetrica tedesca, che da quindici anni lavorava con i profughi a Mae Sot, nell’ospedale della dottoressa Cynthia Maung. Alla prima occasione mi ha invitato ad andare là. Mi ha detto: “Non dare solo soldi, vieni qui e cerca di fare qualcosa”. Così, a Natale del 2002, sono andato. Quel viaggio ha cambiato la mia vita.

Io faccio il consulente aziendale con specializzazione nel marketing. Da allora vado là otto settimane all’anno. Riesco a gestirmi abbastanza bene. Non faccio più ferie tradizionali, ma per me questo va bene. Forse in futuro riuscirò a lasciare il mio lavoro e a fare solo questo. Non ci occupiamo solo della Birmania, il luogo d’intervento dipende anche dai nostri soci. Se c’è un socio che vuole curare un progetto in Sudamerica o in Africa, e lo fa secondo i nostri principi e se lo fa tutto in proprio, gli diamo tutto l’appoggio possibile. Certo, io sono in Birmania, ma siamo aperti, per questo ci chiamiamo “senza confini”, perché non abbiamo frontiere, perché vogliamo scavalcare non solo le frontiere fisiche ma anche quelle nelle nostre teste e nei nostri cuori.
Ma torniamo al 2002. Io psicologicamente ero in una situazione drammatica, perché mi ero separato da mia moglie. Ero molto giù di morale. Così ho accolto l’invito di Inge Sterk, che ogni anno si licenziava dal suo lavoro in Germania, o prendeva sei mesi di aspettativa, e andava laggiù ad aiutare, finché non aveva finito i soldi. E’ veramente una persona favolosa. Lei conosce tutti. Per me questo è stato un grande regalo, perché mi ha permesso di vedere dietro le quinte. Già quando capita di vedere la tragedia di queste persone dall’esterno fa una grande impressione, ma se poi si conoscono le singole persone e le si ascolta -sono molto discreti, ma poi ti parlano- allora non riesci più a stare in pace.
Così sono ritornato, sono anche andato due settimane in un monastero buddista, facendo proprio una vita da monaco, diciotto ore di meditazione al giorno e anche questo mi ha fatto cambiare. Già negli anni precedenti ero in una fase di cambiamento, ma ora mi era chiaro che nella vita ci sono altre cose più importanti. Ho deciso di non lasciarli soli.

Perché ho scelto di occuparmi dei Karen? Per la verità ci sono otto grandi popoli. Solo i Karen però han ...[continua]

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