La sua tesi di Master sulla regolazione negoziata delle risorse acquifere nel West Bank del 1984, redatta in forma di un gioco di simulazione intitolato “Water on the West Bank”, è ancora oggi utilizzata nella formazione di funzionari che si occupano di aree di conflitto, ed è acquistabile in inglese e tedesco sul sito del Program On Negotiation della Harvard Law School. Infine, è uscito recentemente in Italia un suo libro, intitolato Chelsea story. Come una cittadina corrotta ha rigenerato la sua democrazia (Bruno Mondadori, 2006) con introduzione di Marianella Sclavi e Vittorio Foa.
Questa intervista è divisa in due parti che corrispondono ai due ruoli che Susan Podziba ha praticato e pratica con tanta bravura: quello di costruttrice di ponti in situazioni di tensione e quello di mediatrice/facilitatrice nella soluzione di problemi multi-attoriali su incarico di organi governativi e come consulente e trainer di amministrazioni pubbliche anche europee; in particolare è parte di una equipe che sta formando i dirigenti del governo finlandese e del governo olandese.
Susan, leggo nei documenti che ti riguardano che alcuni anni fa la prestigiosissima John F. Kennedy School of Government della Harvard University ti ha chiamato in tutta urgenza perché non sapevano più come cavarsela. Avevano organizzato un seminario di incontro fra operatori ospedalieri israeliani e palestinesi, e questi non riuscivano a parlarsi senza offendersi reciprocamente. Arrivi tu e loro non solo imparano ad ascoltarsi, ma al ritorno nelle loro terre, congiuntamente, fondano e gestiscono un centro di assistenza alla maternità nel West Bank. Come hai fatto? Qual è il segreto?
Non esiste alcun segreto. Mi limito a mettere le parti avverse in condizione di utilizzare quelle capacità di buona comunicazione che già possiedono, ma che evitano di esercitare perché farlo è spesso doloroso e complesso. Tutto il mio lavoro consiste nello sfidare la gente a vedere la situazione nella sua complessità, a cominciare dalla complessità della buona comunicazione in situazioni di tensione. Nel caso degli operatori della sanità israeliani e palestinesi ad Harvard, che poi erano sette in tutto, ho detto loro che era inutile sforzarsi di comunicare senza avere una idea di quant’era difficile farlo. E quindi li ho invitati a fare il gioco della parafrasi. A turno e a coppie, ognuno doveva raccontare ad un partner della parte avversa un evento o episodio illustrativo dei suoi sentimenti sul conflitto in Medio Oriente e al termine questi doveva ripetere il più fedelmente possibile questo racconto. Gli altri osservavano e prendevano nota di quanto incredibilmente penoso fosse ripetere quelle storie, quante erano le dimenticanze, i salti, le distorsioni, le cancellazioni. E si rendevano conto di avere questo problema in comune: la fatica emozionale e il coraggio quasi eroico a cui dovevano attingere per ascoltarsi e darsi reciprocamente spazio. Su questo terreno e questo genere di riflessioni si è creata una solidarietà, un embrionale mutuo riconoscimento e rispetto che poi si è rinsaldato grazie ad altri racconti di episodi di vita professionale.
Nel caso degli incontri fra donne leader di organizzazioni che appoggiavano o osteggiavano il diritto di aborto, entrambe le parti hanno accettato di vedersi solo nella misura in cui fosse chiaro che lo scopo non er ...[continua]
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