ricordarsi, storie

Una città / 2006
Testo di la redazione
Marcelo Quiroga Santa Cruz
Marcelo Quiroga Santa Cruz è stato un grande patriota della recente storia boliviana e dell’intera America Latina. Uomo coraggioso e sensibile, premio Faulkner con il romanzo Los Deshabitados, socialista, da parlamentare contestò il governo del suo paese, accusandolo di svendere le risorse boliviane e di asservirsi agli interessi nordamericani. Fu uno dei più strenui sostenitori della nazionalizzazione del petrolio boliviano. Nel 1969 fu lui, in qualità di ministro delle miniere e del petrolio del governo Ovando, a firmare il decreto che rendeva gli idrocarburi della Bolivia un bene pubblico. Una vittoria per il paese e per Marcelo, se non fosse che dopo pochi mesi il petrolio, sotto la pressione degli Usa e della Gulf Oil, fu nuovamente privatizzato. Marcelo si trovò a dover iniziare una lunga opposizione, durata dieci anni, ai generali-dittatori e agli interessi delle multinazionali del petrolio.Nel 1980, la mattina del 17 luglio, Marcelo Quiroga baciò sua moglie e lasciò la casa nel centro di La Paz per andare alla sede della Centrale operaia boliviana dove lo aspettava una giornata piena di impegni. C’era stato il colpo di stato contro il neoeletto presidente Hernán Siles Zuazo, orchestrato dal generale Luis García Meza, e Marcelo era molto preoccupato. Era in corso una riunione con i compagni del sindacato quando si udirono urla e scarpe pesanti salire le scale. Non sarebbe stato il solito controllo. I paramilitari costrinsero tutti i presenti a scendere le scale in una fila ordinata. Al pianoterra cercarono di separare Marcelo dagli altri, ma lui si divincolò e tornò al suo posto. Iniziarono gli insulti e le percosse, Marcelo alzò le mani in segno di resa. Partì una raffica di proiettili. Marcelo ferito al torace barcollò e cadde, Carlos Flores, il suo compagno di lotte nonché dirigente sindacale, fu colpito a morte. I paramilitari trascinarono tutti, vivi e morti, su un’autoambulanza e li portarono allo Stato maggiore. Marcelo arrivò ancora vivo. Le immagini scattate dai militari lo ritraggono esangue mentre indica qualcosa fuori dall’obiettivo. Alle cinque del pomeriggio arrivò una telefonata alla moglie Cristina: «Non cercatelo più, Marcelo è morto». Cosa accadde è ancora un mistero. Secondo le ricostruzioni fatte al processo al generale García Meza, condannato negli anni Novanta per aver dato l’ordine di assassinarlo, i militari si liberarono dei cadaveri senza che i medici legali eseguissero l’autopsia. Sembra che il corpo di Marcelo, segnato da sevizie, sia stato fatto a pezzi e disperso nella selva. Fu dichiarato desaparecido, e i suoi resti mai più ritrovati.
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