Partiamo da Pomigliano. Si è fatto un gran parlare di diritti fondamentali in pericolo, di passaggio cruciale delle relazioni industriali, di ritorno agli anni 50. Tu come la vedi?
Io ritengo che Pomigliano sia Pomigliano. Non è la storia delle relazioni industriali, eccetera eccetera, tutte stupidaggini. Pomigliano è un grande stabilimento industriale che non funziona per via di tassi di assenteismo elevatissimi e di tassi di qualità discutibili, ma che, per motivi sociali, non è chiudibile. Punto. A sorpresa, il Marchionne, dopo che per 20 anni i suoi predecessori ci hanno ripetuto che "bisogna ridurre i volumi, fare cassa integrazione...”, dice: "No, rilancio”. Questo è stato sconvolgente: Pomigliano diventa un protagonista della piattaforma europea dell’auto, avendo già la Polonia che va benissimo. Ora, io credo che difficilmente Pomigliano potrebbe costruire Alfa di qualità da mandare negli Stati Uniti, mentre la Panda, come volumi, si presta di più, però di tutto ciò facciamo fatica a dir qualcosa di preciso. Quel che io posso dire in base alla mia esperienza è che il problema di Pomigliano non è inedito. Lo stabilimento brasiliano della Fiat, a Belo Horizonte -me lo raccontavano sia i sindacalisti, perché la Fim fece là un investimento formativo, sia il direttore di allora, Cappellani, un grande dirigente Fiat, che dopo la pensione è rimasto in Brasile a far lavoro sociale- era un posto dove la gente prendeva tre mesi di stipendio e lasciava la fabbrica, perché tanto ne aveva abbastanza; se giocava il Tiradentes nei dintorni, saltava i muri e andava alla partita. Questo per anni. Era un posto dove per due volte consecutive vinse le elezioni di commissione interna la lista dei comunisti albanesi. Cosa potessero sapere del comunismo albanese... Lo descrivevano, cioè, come un posto degno di un grande racconto alla Guimaraes Rosa. Ebbene, adesso quello è lo stabilimento principe del sistema sudamericano, il fiore all’occhiello della Fiat brasiliana, produce più della Wolkswagen. Questo per dire che tutto può cambiare. A Mirafiori, 20 anni fa, si facevano gli straordinari il sabato per aggiustare le vetture rotte, male uscite dalle linee. Quindi bisogna sempre analizzare uno stabilimento, una storia industriale, un incrocio tra una cultura e la dura disciplina industriale.
Questo è un tentativo che si apre, speriamo che vada bene, e non è detto. Anche perché l’impressione che mi sono fatto dalle mie conoscenze, parlando con parecchi ex giovani che sono stati miei allievi al Sud, è che ci sia una sostanziale ribellione dei più anziani, che essendosi ormai abituati, tra cassa integrazione, altri lavoretti, eccetera, a intravedere una finestra lontano, non si capisce perché debbano tornare a lavorare veramente. E poi però c’è un cospicuo numero di giovani, con un livello di istruzione anche notevole, che vede lì la propria prospettiva professionale, e quindi vorrebbero giocarsela. A mio avviso i problemi sono di questa natura, non politici, e quindi io mi auguro che la cosa funzioni.
Quanto alla storia dei diritti, bah. Lo sciopero non si può impedire, perché si lede un diritto soggettivo, tutelato dalla Costituzione. Ma poi anche nel pubblico impiego viene punito il sindacato che lo proclama. Quindi è inutile star lì a farla difficile. L’assenteismo: in tutti gli stabilimenti dove è molto elevato, si cerca qualche misura per scoraggiarlo, mi sembra normale. E lo sembra anche a quelli che non lo fanno. Però, lo ripeto, se parliamo di Pomigliano, parliamo di Pomigliano, non parliamo della storia delle relazioni industriali nel mondo, della Fiom e di Sacconi, no. Questo è tutto un di più. Parliamo di quello che è già un problema difficile di suo, senza bisogno di scomodare grandi questioni.
Ho letto l’articolo sul Sole 24 ore in cui si riportavano le tue valutazioni, tutto sommato positive, di questo nuovo sistema di organizzazione del lavoro, il world class manifacturing, che per altri invece non sarebbe che un modo per l’intensificazione dei ritmi…
Ci sono due aspetti: uno è l’aspetto che anche nei posti più rigidi, di disciplina industriale tayloristica, come ci hanno insegnato studiosi e non studiosi, c’è una serie di astuzie operaie, per sopravvivere, per darsi del tempo, per trovare degli accorgimenti, che poi magari l’azienda scopre e utilizza r ...[continua]
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