Qual è la storia di Vibrapac?
La Vibrapac è un’azienda storica di Solaro, forse la più vecchia rimasta; nata nel ’57, è un’azienda di famiglia arrivata ormai alla terza generazione. Nel corso della sua storia, in questi quasi sessant’anni, l’azienda si è affermata in un settore specifico nel mercato dell’edilizia, quello degli elementi in calcestruzzo vibrocompresso, con un marchio sinonimo di qualità. Negli anni Duemila, con un mercato edilizio con tassi di crescita a doppia cifra, ci siamo illusi che tutto questo potesse andare avanti all’infinito. Poi è arrivato il 2007. A settembre 2007 non squillavano più i telefoni dei nostri commerciali. Erano le prime avvisaglie della crisi del 2008 che, nel giro di due anni e mezzo, ci ha portato a un dimezzamento del fatturato: nel 2010 fatturavamo la metà del 2007. Iniziammo quindi a fare alcuni aggiustamenti. Come dicevo, questa è un’azienda familiare, pertanto non particolarmente managerializzata e segnata da una forte personalizzazione legata ai fondatori: è quindi un’azienda molto centralizzata. Ovviamente tutto questo ci ha colto di sorpresa, tanto più che nel frattempo era in corso un passaggio generazionale. Siamo tre fratelli e due lavorano fissi qua. Poi c’è un’altra azienda del gruppo dove c’è nostra sorella.
In questa prima fase sarete stati costretti a licenziare...
No. Quest’azienda in sessant’anni non ha mai licenziato nessuno. Abbiamo fatto un po’ di cassa integrazione. Il problema è che non era finita lì. A settembre del 2011, così come successo nel 2007, torniamo dalle vacanze e non squillano più i telefoni. Nel 2011 sembrava che avessimo in qualche maniera tenuto botta, invece nel secondo semestre 2011 si comincia a scendere e nel 2012 c’è un nuovo crollo. A quel punto ci si pone il problema: cosa facciamo? La cassa integrazione infatti non bastava più. Avendo già dimezzato la produzione e non avendo attuato politiche di mobilità, ci trovavamo con tanta gente in più. Le alternative erano o esuberi massicci (più che una decimazione, un dimezzamento), oppure, come proposto dai sindacati, un contratto di solidarietà: si lavora tutti, si lavora di meno. L’azienda ha valutato e infine ha accettato. Il sindacato ha chiesto che l’azienda si rendesse disponibile a fare dei corsi di formazione. Essendo in crisi abbiamo detto: "Benissimo, facciamo i corsi di formazione, purché questo non impatti economicamente sull’azienda”.
Io come imprenditore sono partito molto scettico: non ne vedevo l’utilità, comunque, purché non costasse niente, ho accettato. La mia idea era: chi, meglio di noi, ci può insegnare a fare il nostro mestiere? La solita presunzione di credere che nessuno ti possa insegnare niente. Temevo anche che il sindacato ci proponesse qualcuno di non all’altezza, invece, quando ho visto che era coinvolto il Politecnico (dove anch’io ho studiato) e che c’erano dei professionisti (e non l’amico dell’amico), ho cambiato atteggiamento. Il percorso prevedeva delle ore in aula e altre "on the job”, sul campo.
Il contratto di solidarietà però aveva dei limiti...
Il contratto di solidarietà ha permesso a quest’azienda, che aveva affrontato una doppia crisi (ogni volta con un dimezzamento del fatturato che vuol dire che oggi fatturiamo un quarto), di non mandare a casa nessuno. Il problema di questa formula è che se lavori poco, tipicamente, subentra la demotivazione, dovuta anche al fatto che guadagni di meno e quindi c’è un incremento dell’inefficienza, cioè a parità di unità di tempo si produce di meno. Questo è dovuto anche a motivi oggettivi: facendo meno ore si fa meno manutenzione, tra l’altro, se sono due giorni che non produco, quando mi rimetto sulla macchina devo fare prima la pulizia.
Ci abbiamo messo un po’ ad accorgercene perché all’inizio le priorità erano portare a casa ordini, portare a casa soldi. Sono stati i consulenti esterni a metterci di fronte a questo impasse: "Voi siete seduti su una bomba a orologeria: se andate avanti così tra un po’ non produrrete più niente”. Dandoci però anche una buona notizia: "Guardate che avete margini di miglioramento elevati”.
Prima Valter diceva: "Abbiamo ripreso a fare quello che abbiamo sempre fatto”. È vero, ma in parte. Cioè, prima la manutenzione fatta al sabato era retribuita in maniera molto interessante e con grandi risorse, per cui tutto quello di cui avevamo bisogno era a disposizione, ad ...[continua]
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