Partiamo dalla crisi della democrazia cui stiamo assistendo.
L’espressione crisi della democrazia nasce da letture e diagnosi molto diverse e conseguentemente anche le terapie possono essere diverse. Schematizzando si può individuare una lettura che vede innanzitutto una crisi della governabilità, o all’opposto una crisi di legittimazione democratica.
La crisi di governabilità mette l’accento sul fatto che le istituzioni non sembrano più in grado di decidere in modo rapido ed efficace rispetto alla complessità del mondo contemporaneo. Conseguentemente, le terapie sembrano andare in direzione di riforme e meccanismi istituzionali che semplifichino le procedure; a volte emerge anche una certa insofferenza verso le regole, le procedure tradizionali della democrazia rappresentativa, con forme di decisionismo più o meno spinto. Questa risposta si combina con il fatto che la decisione può essere anche quella di lasciar correre, o di non sottoporre a una procedura democratica di regolazione i meccanismi spontanei dell’economia. Da un certo punto di vista si decide di non decidere, o di non regolare.
Poi, naturalmente, ci possono essere varie versioni di questa risposta, c’è una versione più tecnocratica e una più populista, nel senso che l’insofferenza verso la dimensione procedurale della democrazia può tradursi anche nell’idea di un rapporto diretto tra leadership e popolo, in cui non c’è più rappresentanza di idee, valori, interessi, ma una sorta di "rappresentazione” delle passioni popolari. Pertanto ci si affida più a una comunicazione top-down, che al coinvolgimento dei cittadini. Si instaura una comunicazione diretta tra leader e cittadini. Lo si è visto molto bene in questo primo mese di governo di Trump: lui stia governando con i tweet...
L’altra lettura della crisi è più complessa e apre a discorsi completamente diversi. Qui partiamo dal concetto che la democrazia è innanzitutto autogoverno, autodeterminazione popolare che avviene attraverso forme dirette o indirette di rappresentanza e partecipazione.
Il principio classico, espresso anche nei testi costituzionali americani e francesi, è che qualunque decisione collettiva prevede che il cittadino abbia il diritto di dire la sua, di partecipare in qualche modo alla decisione.
Habermas parla del cosiddetto "doppio binario”.
Doppio binario non fa riferimento a una distinzione tra sfera pubblica o società civile da una parte e sfera istituzionale dall’altra, ma implica che ci sia una doppia fonte di legittimazione democratica. Da un lato c’è il rispetto delle procedure garantite dalla Costituzione, dall’altro esiste qualcosa che è forse meno palpabile empiricamente ma che è altrettanto importante, e cioè la legittimazione discorsiva, cioè il fatto che le opinioni e poi le volontà politiche dei cittadini sono il frutto di un processo inclusivo di discussione e di dialogo pubblico.
Stiamo parlando del consenso?
Il consenso dev’essere l’elemento finale di un processo dialogico. Possiamo esprimere questo approccio con una formula anche molto semplice: non basta che una decisione sia assunta da un soggetto, da un’istituzione titolata legalmente; occorre che tale decisione sia sentita, approvata, accettata come legittima da chi ne è soggetto. Anche quando non la condivide -questo è un punto importante.
In conclusione, se non c’è un processo inclusivo di partecipazione e decisione, fatto anche di confronto di idee e di programmi, e di posizioni, la legittimazione democratica rimane debole. La sfera pubblica, cioè l’insieme dei discorsi che si fanno nell’opinione pubblica, tra i cittadini, in tutte le sedi più disparate, è una fonte di legittimazione, ma è anche una fonte che può sottrarre legittimazione alle decisioni istituzionali.
Che cos’è la democrazia deliberativa?
Di fronte al quadro che ho delineato ci sono varie risposte. C’è una risposta che trova il suo nume tutelare in un pensatore tedesco del 900, Carl Schmitt, il teorico del decisionismo, dove la politica è vista come volontà di potenza, un po’ nietszchianamente. La politica ...[continua]
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