Entrato in ospedale ai primi di gennaio per un intervento all’intestino che ci si aspettava quasi di routine, purtroppo ne è uscito con una diagnosi senza speranza. E’ morto lunedì 19 febbraio.
Vorrei dire due parole sulla generosità di Michele. Era impressionante. In tutti questi anni noi di Forlì avremo cenato assieme a lui decine e decine di volte. Ebbene, non c’è stato verso di poter offrire noi almeno una volta. Ricordo sempre una sera a Forlì, quando noi, essendo nella nostra città, ci eravamo premuniti, anche con il cameriere. Il conto finì in mano mia. Continuavamo a parlare e notai che Michele si era incupito, non seguiva. Non feci in tempo a chiedere nulla che lui con un balzo attraverso il tavolo si avventò sul conto strappandomelo dalle mani. Michele era così. Un giorno orecchiò in riunione che da Napoli i maestri di strada cercavano di mandare al nord una ragazza preda della camorra e alcuni giorni dopo sapemmo che Michele si era messo in moto da solo, chiamando Cesare a Napoli, chiedendo aiuto agli amici della Ventitreesimo (la comunità con cui Michele aveva avuto una lunga frequentazione per via delle vicissitudini del secondogenito) e andandosi poi a invischiare in una storia che non finiva più. Già, ma se si parlava di ragazzi in difficoltà Michele “scattava”. Non a caso, si era innamorato dei Parent’s circle, l’associazione di familiari israeliani e palestinesi colpiti da un lutto, che ora lo ricordano in modo affettuoso anche nel loro sito.
In tutti coloro che in questi anni hanno partecipato agli Incontri del Mediterraneo il ricordo che ha lasciato in fatto di ospitalità è indelebile. Ne abbiamo avuto testimonianza. Risolveva tutti i problemi, anche i più piccoli, prevenendoli, non lasciando mai un ospite da solo, a costo di far la notte all’aeroporto o di restar senza auto per averla data al muftì di Marsiglia attratto dalle luci di Rimini. Ma Michele alla mattina alle otto aveva il negozio. Stendeva tappeti rossi a tutti, a maggior ragione se aveva davanti una sconosciuta militante femminista tunisina. E restando sempre nell’ombra, senza mai apparire. Cercava per sé solo gli oneri.
Lui e Nadia erano bravi commercianti, titolari di negozi molto avviati, ben capaci di far profitti quanto di non trarne alcuno per sé. Rendersi conto del loro tenore di vita era sempre motivo di sorpresa per chi lo sapeva imprenditore e aveva visto la sua prodigalità. Fu scelto anche come rappresentante “sindacale” nazionale dei negozianti Buffetti, impegno ulteriore e gravoso che Michele accettò a un’unica condizione: di non ricevere l’emolumento previsto. Non lo so, ma sembra quasi che Michele abbia sempre voluto tener fede al proposito di gioventù: mai più di un operaio.
Io lo criticai un giorno. Parlavamo dei negozi, della prospettiva, forse, di mantenerne uno solo e disse: “In questo caso, però, io dovrei cercarmi un altro lavoro, anche fuori Rimini, per non creare imbarazzo a nessuno, perché lì ci sarebbe solo un posto, oltre a quelli di Daniele e Roberto -i figli- e non potrei mai licenziare Nina”. Nina è la giovanissima bosniaca che Nadia e Michele avevano accolto e a cui avevano insegnato, con grandi risultati e soddisfazione personale, il mestiere.
Gli dissi: “Ma Michele, non puoi essere così paternalista, non va bene voler risolvere i problemi di tutti, non sei onnipotente… Ne va anche della libertà degli altri”. E poi parlammo di patriarchi e famiglie numerose, di modalità paterne o fraterne, di quella, a volte così tignosa, da fratello minore, eccetera. Nei giorni seguenti mi disse che ci aveva pensato… Ma adesso ci ripenso io e quella critica oggi non la ripeterei. Michele era così e ora che non c’è più io sento già la mancanza di qualcuno che sapevo che c’era ...[continua]
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