Cari amici,
in queste settimane guardo con perplessità a tutti i Paesi del mondo -esclusi gli Usa e il Giappone- che fanno a gara a chi per primo si presenta sdraiato davanti a Pechino per chiedere di essere ammesso a partecipare alla Aiib, l’Asian Infrastructure Investment Bank, una sorta di nuova "Banca Mondiale” guidata dalla Cina. L’entusiasmo con cui questa idea cinese è accolta è sorprendente e ci mostra come, ancora e malgrado tutto, la fascinazione nei confronti della Cina stenti a divenire più razionale; la convinzione che tutto quello che questa tocca porterà soldi a palate perdura negli anni. L’Aiib, francamente, dovrebbe invece destare una certa preoccupazione. Pensiamo alla Banca Mondiale: nel corso della sua esistenza è stata coinvolta in innumerevoli scandali, per esempio per aver finanziato progetti che danneggiano l’ambiente o costringono allo spostamento di migliaia di persone senza compensazioni adeguate o anche motivazioni sufficienti. E la Banca Mondiale, con tutti i suoi difetti, agisce sotto il monitoraggio di una stampa per lo più libera, è controllata da organizzazioni non governative che le impongono maggiore trasparenza, e parzialmente è vincolata dall’appoggio dato da governi che devono rispondere a un elettorato. Figuriamoci la trasparenza che possiamo aspettarci da una Banca per le infrastrutture asiatiche capitanata dalla Cina, che anche questo mese ha messo in prigione attivisti e giornalisti, censurato notizie e siti web e fatto di tutto per imporre la sua versione delle cose al mondo.
Alcuni dettagli per passare dal grande al piccolo: chiacchieravo con una mia amica editrice, chiedendole la sua opinione sulla notizia riguardante certe case editrici di Hong Kong. Alcune sono state "punite” dalle librerie "patriottiche” (ovvero pro-governo di Pechino) per aver pubblicato libri sul "Movimento degli Ombrelli” (le manifestazioni pro-democrazia tenutesi a Hong Kong in autunno) e si ritrovano ora con la resa di tutto l’inventario. Non solo i libri politicamente scorretti, ma anche i manuali, i libri di cucina, i romanzi, qualunque cosa abbiano pubblicato viene rispedita in magazzino dicendo che nessuno dei loro libri è più bene accetto da queste librerie. Le chiedo dunque che cosa siano esattamente le librerie "patriottiche”, dato che, per quanto siano numerose in città, le volte in cui ci sono entrata ho trovato anche libri critici del sistema politico o su dissidenti, temi delicati, etc. Mi dice: "Sono librerie commerciali, per cui se un libro politico che non piace a Pechino vende bene, cercano comunque di averlo in libreria, magari dietro al banco, o con la copertina girata, in modo che lo possa comprare solo chi lo sta cercando. Ma per il resto è Pechino che paga le loro spese di affitto: spendono solo un dollaro di Hong Kong all’anno per i locali (15 centesimi) e in cambio se Pechino vuole che ripuliscano la libreria dai titoli che le sono sgraditi, lo fanno”. Il che dunque lascia i libri proibiti (in modo non-ufficiale) disponibili solo in quelle che sono chiamate "librerie del secondo piano”, ovvero librerie che non possono permettersi l’affitto di locali a livello della strada, ma solo per l’appunto nei piani alti degli edifici commerciali e che quindi hanno meno clienti occasionali. Ma le tecniche di persuasione della Cina sono anche più sottili: "Prima -continua la mia amica- con il boom dei visitatori cinesi a Hong Kong, c’erano moltissime persone che coglievano l’occasione per venire anche a comprare libri di politica non acquistabili oltre confine. Si vendeva molto, i turisti chiedevano di essere portati alle librerie del secondo piano, e anche quelle patriottiche avevano dei tavoli un po’ meno discreti con i titoli ambiti. Ma da quando è iniziata l’era di Xi Jinping la tolleranza anche per questo tipo di cose è diminuita in maniera drastica, ed è stata diffusa una direttiva alle agenzie di viaggio: se i vostri gruppi tornano in patria con dei libri proibiti, saranno le agenzie di viaggio a essere multate”. Mentre io la guardo con aria interrogativa, mi dice: "È chiaro che non ha senso. Ma funziona perfettamente: scaricando la responsabilità sulle agenzie di viaggio, si fa sì che i turisti cinesi a Hong Kong vengano controllati e tenuti in riga senza che nessuno di ufficiale debba sporcarsi le mani applicando una direttiva impossibile da difendere. Così sono le guide turistiche stesse che se non vogliono perdere il lavoro sorvegliano che nessuno vada in l ...[continua]

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