Sembra una caricatura, ma è proprio la nostra desolante e pubblicitaria realtà culturale. L’Italia deve ripartire; bisogna realizzare lo sblocca Italia. Non si pensa di dover dire quali iniziative culturali ed economiche dovrebbero prendere gli Enti pubblici e il Governo, gli unici che possano usare criteri politici, morali, per ottenere il risultato. Non ce n’è bisogno: l’economia in questa brutta favola (ma si usa dire narrazione) cresce per sua natura, perché gli investitori, cioè tutti quando scelgono di essere tali (qualcuno ha credito per miliardi, a te non prestano un euro, ma che vuoi farci, è la vita) sanno loro cosa è meglio per sé, e quindi per l’economia, e di conseguenza per la cultura, che ne è un sottosistema. Questo non accade in Italia perché viaggiamo col freno tirato. Ma se togliamo il freno, aboliamo i contratti di lavoro e i sindacati, se tiriamo diritto, diventeremo tutti ricchi. Non si sostiene la necessità delle riforme costituzionali perché renderanno più equilibrato il sistema politico, che certo ha dei problemi se nelle regioni più vitali si astiene più della metà degli aventi diritto. L’equilibrio non sembra importante. Si sostiene che consentiranno al Leader di decidere rapidamente. Questo sembra importante. Michele Salvati ha scritto di recente un perfetto elogio del Führerprinzip. La politica consiste nello scegliere un Capo e cambiarlo a scadenza se non ci piace più; purché sia abbastanza sciocco da farsi cambiare anche se dispone di un quasi monopolio della pubblicità. Non si parla delle differenze economiche e demografiche crescenti e delle guerre, che sono le cause principali delle ondate di profughi che trattiamo come emergenze dovute all’attività di pochi criminali (gli scafisti, i mercanti di uomini). Le popolazioni sottosviluppate crescono troppo; ma col tempo rallenteranno e convergeranno con noi.
Il Rapporto Onu del 2015 sulla popolazione mondiale
Purtroppo la narrazione non è vera e il mondo reale si incarica di ricordarcelo ogni tanto con una certa durezza. La teoria della diffusione della ricchezza, del trickle down, era fondata su misure empiriche di metà degli anni 50. Ripetute oggi, danno il risultato opposto; e basta guardare cosa succede in America, anglosassone e latina, in Africa, dappertutto, per rendersene conto. Piketty lo ha dimostrato con una gran massa di dati sull’arco di un secolo, con la riduzione tra il 1930 e il 1970 e il forte aumento dal 1970 ad oggi. La ricchezza non si diffonde, si concentra. Lui ha chiamato la ricchezza Capitale nel titolo s ...[continua]
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