Cari amici,
l’altro giorno ero a pranzo con una giornalista che conosco da diversi anni, e che si occupa per lo più di moda, bellezza, gioielli e altre "frivolezze”. È di quelle persone, però, che hanno un modo piuttosto convincente di parlare, e mentre ascolto le sue descrizioni sul perché un diamante blu è di grandissimo pregio, e del costo che ha paragonato ai diamanti chiari, anche paragonando i carati... insomma, come capirete da questa frase un po’ bislacca, di diamanti non so praticamente nulla eppure, ascoltando lei, mi ritrovo seriamente a considerare che se, beh, proprio dovessi comprarmi un diamante un giorno l’essere stata a pranzo con la mia amica Kitty mi sarà di gran vantaggio.
Fa la giornalista per quel quotidiano cinese di lingua inglese che si chiama China Daily, e che è uno di quei quotidiani facilissimi da odiare, e che malgrado ciò ogni tanto si leggono. Perlomeno, io ogni tanto lo leggo, ancora nell’illusione che mi possa svelare qualcosa della Cina -una nuova politica estera, per esempio, o una nuova decisione economica- senza che poi mi illumini più di tanto. Il fatto è che il China Daily, almeno qualche decina di anni fa, era il quotidiano pensato per i diplomatici e vari altri stranieri che seguivano gli affari cinesi pur senza sapere il cinese abbastanza bene da leggere i quotidiani, ed era dunque la voce della propaganda che voleva parlare direttamente all’estero. Oggi, come tanti giornali cinesi, è un curioso ibrido: da una parte, propaganda quotidiana, con tanto di stridenti articoli nazionalisti e un po’ xenofobi che ci si chiede perché dovrebbero essere indirizzati agli stranieri, che più patriottici di tanto, in senso cinese, non potranno certo essere. Poi però, c’è quello che si chiama "colore”, e giù di frivolezze. A scriverci sono quasi esclusivamente dei cinesi che se la cavano bene con l’inglese e che a volte possono utilizzare un passato da giornalisti per il China Daily come trampolino di lancio per poi scrivere per pubblicazioni in inglese altrove, in maniera indipendente.
Di questi tempi di costante crisi dell’editoria, però, alcune persone scelgono che, pur non essendo cinesi, sono disposti a servire la propaganda cinese perché altri lavori "giornalistici” non ne trovano. Kitty invece è cinese, e per quanto abbia scritto in passato di frivolezze per altri quotidiani di maggior prestigio, negli ultimi anni era estasiata da quanto spazio avesse sul China Daily.
"Ti giuro! Sono stati anni incredibili: mi pagano a seconda della lunghezza dei pezzi e tutte le settimane mi chiedevano articoli da ottomila battute su gioielli, vini di lusso, moda... Una pacchia. Pensa che ho intervistato due importatori caraibici di rum, che importano in Cina solo il rum più
costoso, e mi ha telefonato l’ambasciatore, tutto contento, che non sapeva nemmeno che il suo Paese esportasse rum in Cina, e che si sentiva ora il rappresentante di un Paese che aveva un ruolo significativo nella modernizzazione della Cina!”. Poi però la campagna anti-corruzione si è stesa come una pozzanghera di appiccicosa melassa anche sulle pagine del China Daily: "Mi avevano chiesto novemila battute su La Perla -mi dice- la biancheria di lusso più cara. Pensavamo che, trattandosi di intimo, quindi non di sfoggio sfacciato di ricchezza, potessimo scriverne, e avevo fatto una lunga intervista ai loro rappresentanti in Cina; mi ero perfino messa a parlare con delle acquirenti, con le commesse... Invece, macché. Niente da fare: da quando sono arrivati al potere questi, non possiamo più scrivere nulla sul lusso! Sobrietà, e anti-corruzione, e basta. Ah: e prodotti cinesi. Quelli vanno bene, anche quelli costosi. Ma è finita la pacchia del lusso importato”, dice, sospirando. "Scherzavo con la capo redattrice l’altro giorno, su come ce la siamo goduta finché è durata! Adesso però lei lascia il China Daily, va a lavorare per un quotidiano di Hong Kong. A Hong Kong va ancora bene, si può scrivere di tutto quello che si vuole”. E mi ha fatto ridire, perché non è che si stesse preoccupando di scrivere di Tibet, o di diritti umani, o di mettere in discussione le politiche del Partito Comunista: no, scuoteva la testa per la festa finita del lusso più appariscente e per una censura che davvero non si aspettava. Le disparità economiche sono più forti che mai, in Cina, ma la censura oggi si è accorta che non fanno fare bella figura ai governanti, prima di tutto e, quindi, non è più permesso sbatterla in faccia a tutti con grandi articoli pieni di diamanti, macchine costose e gioielli. Ma non si tratta di una censura a tutto tondo. Mentre scrivevo mi sono interrotta un attimo per controllare sul web e i vari portali dei giornali, delle tv, e delle agenzie di stampa cinesi continuano a non smentirsi: meno pietre preziose, ma più donne semi-nude. Perché se non si possono più far sognare i lettori con le fantasie di ricchezza, una fila di ragazze in bikini va sempre bene. Le evoluzioni del comunismo cinese non mancano mai di stupire.
Ilaria Maria Sala
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