La fama e l’autorità di Ungaretti hanno già cominciato a declinare negli anni Quaranta e Cinquanta, quando Saba si era imposto all’attenzione come la sola e grande alternativa all’ermetismo. Saba, tuttavia, in quanto "non moderno” o antimoderno, non poteva che scontrarsi con le riserve e le resistenze di chi, nelle università, aveva bisogno, per mobilitare il discorso critico, di categorie generali: e niente ha tanto occupato gli studiosi di estetica e i critici accademici quanto l’inesauribile discussione sulla modernità, con le sue poetiche, i suoi manifesti d’avanguardia, le sue innovazioni formali, le sue idee e ideologie, la sua linguistica letteraria. In questo senso Saba dava poco e Montale, invece, moltissimo.
Con Sentimento del Tempo di Ungaretti (1933) e Le occasioni Di Montale (1939) l’ermetismo aveva i suoi libri esemplari, le sue realizzazioni più mature, anche se lo stile e la poetica dei due autori e dei due libri erano molto distanti. L’ermetismo, però, ramo secondario e tardivo del simbolismo, sembrava spiegare tutto e omologare, agli occhi degli interpreti, anche quanto non era omologabile: il linguaggio poetico della modernità si presentava come un sintomo del generale disagio sociale della cultura, degli artisti e degli intellettuali, per i quali comunicare con un ampio pubblico di lettori sembrava impossibile, indecente, o perfino esteticamente proibito.
Nelle Occasioni la leggibilità è subito sacrificata a un sistema di allusioni spesso difficilmente decifrabili. Dopo la composizione di Arsenio, groviglio di lampeggianti segnali provenienti da "un’altra orbita”, da un occulto e minaccioso mondo parallelo che assedia la realtà manifesta e la destruttura, Montale entra senza più remore in un suo labirinto privato. La sua incisività espressiva resta efficacissima, ma lavora a creare anche ostacoli al lettore. La sua implicita scommessa intellettuale è che più si sprofonda nel proprio "idioletto”, nella propria lingua monologica, tanto più a fondo si può andare nella diagnosi di una comune condizione umana diventata sempre meno umanamente comune e socialmente condivisibile. Chi è più solo, esplorando la propria solitudine, potrà dire qualcosa di essenziale sulla solitudine, più o meno inconsapevole o mascherata, di tutti.
Sergio Solmi, coetaneo di Montale e suo interprete più equilibrato e limpido, recensendo nel 1940 Le occasioni, scriveva già allora che la fortuna di Montale, a partire dal 1925, "è andata crescendo con un ritmo lento ma sicuro (...) Dire ‘Montale’ ed evocare una qualità inconfondibile d’accento, un mondo di figure e di simboli immediatamente riconoscibili (...) è tutt’uno. Se anche circoscritta a una scelta cerchia di lettori, questa poesia ha pur finito col cedere all’aria del nostro tempo il suo segreto individuale; ha trovato il suo clima”.
Dunque, singolarità e irrefutabilità nello stesso tempo di un incontro fra "qualità inconfondibile d’accento”, voce e tono lirico, "segreto individuale” da un lato e dall’altro un pubblico o "cerchia di lettori”, un "clima” morale e storico. Montale sembrava aver afferrato e creato "l’aria del nostro tempo”, dice Solmi. Quanto al passaggio dagli Ossi di seppia (1925) alle Occasioni, Solmi non segnala nessuna vera discontinuità, anzi una "coerenza del pensiero poetico”. E poco più oltre ribadisce: "medesimo ritmo interno”, "medesimo destino espressivo”. Si tratta, semmai, di sviluppo, di crescita, di acquisizione e arricchimento di sottigliezza tecnica: "più suggestione di pause”, "più gioco, più bravura”. Aggiungendo qualcosa alla sintonia descrittiva di Solmi, si potrebbe dire anche che una tale crescita implica più variazioni virtuosistiche che nuove scoperte.
Senza dubbio Le occasioni sono un libro più chiuso, meno dinamico. La giovanile eppure già tanto (fin troppo) matura di ...[continua]
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