Per capire cosa sta succedendo possono essere utili alcuni articoli comparsi sul "Guardian” e uno studio per il Parlamento europeo (vedi i quattro link, ben riconoscibili).
Si può escludere che si tratti di una crisi aziendale in senso proprio, cioè che Ryanair non ce la faccia economicamente. Le compagnie low cost hanno margini di profitto consistenti, intorno al 13% (p. 3 dello studio citato), molto più alti di quelli delle compagnie maggiori, per non parlare di quelle medio-piccole, che sarebbero in passivo. E la Ryanair cresce più delle altre. Non sembra un caso come la Monarch, in difficoltà da tempo, che anzi abbassa certo la media.
È invece un caso di conflitto con il personale, in particolare con i piloti, che sarebbero andati via a centinaia (700 dice un pilota) per passare a compagnie cinesi e altre asiatiche. Il conflitto non assume le forme consuete delle rivendicazioni e dello sciopero perché i sindacati non sono ammessi. Ci sono state richieste ultimative rimaste senza risposta. L’azienda, anziché acconsentire, e/o assumere nuovo personale, ha deciso di andare avanti con i piloti che aveva, alle condizioni che voleva, e di cancellare i voli che non riusciva a realizzare. Si può parlare di serrata articolata, di mancata prestazione del servizio da parte dell’azienda, limitatamente ai voli non realizzabili alle proprie condizioni.
Vari anni fa Vittorio Foa, critico di alcuni scioperi nel pubblico impiego che alle aziende non facevano alcun male ma danneggiavano molto gli utenti, i cittadini, le cui proteste obbligavano le autorità politiche a cedere, usò l’espressione "sciopero contro terzi”. In questo caso si potrebbe usare l’espressione "serrata contro terzi”.
Le cause del conflitto
Stando agli articoli, in particolare al terzo link, che cita molte interviste a lavoratori, i problemi sono quelli che valgono per tutti i precari. L’azienda paga un lordo, che deve coprire tutte le spese, inclusa l’acqua e il cibo a bordo (come per i passeggeri), e le divise, anche per i piloti, i cambi di residenza verso la base più comoda per l’azienda tra le molte disponibili. È come per gli autisti di Uber, che devono pagare la benzina, l’usura del mezzo, garantire la prestazione, ma non hanno nessun controllo sui percorsi e sulle code, su chi ottiene il contatto e chi no.
È difficile districarsi tra affermazioni, anche di giornali seri come il "Guardian”, e le smentite dell’azienda. I punti controversi sono i contratti a zero ore (cioè che non prevedono una durata minima del lavoro, e perciò consentono di lasciare a casa il lavoratore senza nessun atto formale), il sovraccarico, la formazione a credito, la pratica sugli aerei pagata dal pilota.
Sembra innegabile che si tratti di un cottimo puro, senza assicurazione sanitaria. I piloti ufficialmente dipendenti "hanno un modesto programma pensionistico, peggiore di quello di Easy Jet, che ammette il sindacato”. Ma quelli a contratto, che portano la stessa divisa e sono trattati allo stesso modo, non hanno nulla. Il motivo per cui molti piloti accettavano in passato condizioni così svantaggiose era che, una volta formati e avuto il brevetto, potevano passare ad aziende con contratti più garantiti. Oggi, col moltiplicarsi delle compagnie low cost, questa uscita di sicurezza sarebbe meno accessibile. E, in ogni caso, se è accessibile, i piloti, appunto, la usano e se ne vanno.
La dipendenza indiretta non prevede ferie, naturalmente. Se sono previste dal contratto con l’azienda fornitrice, può esserci davvero un accumulo casuale, anche se non sembra probabile che, con i mezzi informatici usati oggi, davvero la Compagnia non sappia i tempi delle ferie arretrate degli indiretti.
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La sostituzione delle persone con le macchine non danneggia solo i lavoratori sostituiti. In effetti un servizio affidato a una voce registrata, o a un messaggio, non è più lo stesso servizio. Ognuno di noi sarà ...[continua]
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