Cari amici, poco prima delle festività natalizie si è svolta a Torino la quarta settimana di cultura marocchina torinese, organizzata dall’associazione Bizzeffe. Una delle iniziative più interessanti è stata la visita alla Scuola Essalam di Afaq, associazione culturale che tra l’altro gestisce il centro islamico di corso Giulio Cesare 6, detta Moschea della Pace. Afaq affitta ormai da quindici anni dei locali scolastici, ultimamente le classi del liceo scientifico Einstein, per offrire a più di 350 iscritti ogni anno corsi di lingua e cultura araba. L’iniziativa nasce per rafforzare il sentimento di identità culturale e religiosa dei figli degli immigrati. In genere un bambino marocchino o egiziano cresce a Torino imparando la lingua materna dai genitori (il cosiddetto dialetto marocchino, o egiziano…) e l’italiano a scuola e in quasi ogni ambito sociale. Ma non ha facilmente occasione di imparare l’arabo standard, che invece avrebbe studiato a scuola se fosse cresciuto nel paese di origine dei genitori. Questa occasione viene dunque offerta, grazie a un contributo economico minimo da parte delle famiglie, da alcune associazioni, non sempre legate a una sala di preghiera. Tra esse Afaq. Certamente radicata in città, ma non per questo conosciuta. Resta infatti la sensazione che tutto questo lavoro avvenga in sordina: una delle ragazze più grandi che frequenta un corso avanzato ci ha raccontato che il liceo dove si svolgono le lezioni domenicali di Afaq è la sua scuola anche durante la settimana. Pochi compagni liceali sono a conoscenza della sua frequenza domenicale: ammette di averlo detto soltanto a quelli con cui si sente in maggiore confidenza. Confermano questa sensazione di un lavoro non conosciuto e non manifesto gli organizzatori amministrativi e logistici della scuola di arabo, che devono naturalmente a fine lezione rimettere ogni cosa precisamente in ordine. Alla nostra ingenua domanda su come reagiscano gli allievi del liceo nel trovare scritte in arabo sulle lavagne, ci rispondono che nessuna traccia della loro presenza domenicale deve restare. La complessa organizzazione della scuola Essalam prevede una capacità e un impegno notevoli: le insegnanti, praticamente tutte donne, beneficiano di un contributo, ma per il resto tutto viaggia sul volontariato gratuito, nonostante i costi non trascurabili d’affitto dei locali. Il materiale didattico viene comprato in Marocco (come i quaderni con le righe molto ravvicinate utili alla scrittura dell’arabo) e in Francia (come i testi didattici di lingua e cultura araba). Colpisce la costanza di questi bambini e ragazzi che, certamente spinti dalle aspettative delle famiglie, affrontano distanze a volte notevoli per essere puntuali alle nove di ogni domenica mattina alla loro classe di arabo e si sforzano con molta convinzione d’apprendere una lingua difficile, ancor più in un contesto sociale dove non viene utilizzata praticamente mai. E sorprende il fatto che tutto ciò debba ancora oggi rimanere pressoché sconosciuto. Anche alla luce della storia pregressa: il Regno del Marocco in accordo con comuni e scuole aveva tentato di inserire insegnanti di arabo nelle scuole italiane. Il progetto, evocato anche durante la nostra breve visita, è rimasto arenato e di fatto oggi inesistente, almeno a Torino.
Il tema dell’istruzione è sempre sotto i riflettori in Marocco, con spinte politiche verso una maggiore arabizzazione del sistema scolastico e l’opposto desiderio di ritornare a un sistema con ampio spazio al francese. Emerge anche una minoranza di pedagoghi che vorrebbero l’uso della lingua materna, la darija marocchina, per facilitare il processo di apprendimento degli scolari, evidentemente reso arduo dal contestuale insegnamento delle materie di studio e della lingua veicolare, l’arabo standard. La varietà linguistica arricchisce e nello stesso tempo rende complicato il Paese. I diversi registri, troppo spesso ancorati a una motivazione di censo, vedono tra le classi ricche l’uso alternato dell’arabo, della darija e del francese, mentre le classi popolari, tra le quali l’analfabetismo è ancora estremamente diffuso, utilizzano a volte soltanto il berbero (soprattutto se si tratta di donne in zone rurali e montane) e/o la darija.
Un Paese, il Marocco, dalle variopinte stratificazioni storiche e culturali oltre che linguistiche. Ne sono un esempio importante le confraternite religiose sufi, il culto sincretico dei ‘santi’, o persone sagge (mar
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