finalmente dopo la lunga pausa della pandemia, ho ripreso a viaggiare in Marocco con dei gruppi. È stato per molti versi emozionante poter riprendere questo lavoro e ritrovare situazioni e persone che non rivedevo da anni. Il viaggio di cui ho costruito in tanti anni di esperienza l’itinerario va verso sud, partendo da Marrakech. Si tratta di un sud poco avvezzo al turismo di massa, piuttosto abituato a ricevere camper di pensionati europei alla ricerca del caldo quando si avvicina l’inverno. Ho incontrato pure una carovana di quindici coppie italiane che si erano spinte come noi quasi al confine del Sahara Occidentale. Il turismo in genere si ferma a Marrakech e dalla città imperiale si sposta per brevi escursioni nel deserto o sulle montagne.
Marrakech mi ha accolto con la solita simpatia e spregiudicatezza, confermando anche dopo la lunga astinenza il suo carattere, tanto accogliente quanto approfittatore. In fin dei conti è anche questo l’aspetto che ne fa una capitale del turismo mondiale ed era a novembre già strapiena di turisti, certo non solo stranieri, perché va ricordato che è una meta amatissima per il turismo interno e al sabato e alla domenica in genere è invivibile tutto l’anno per l’affollamento.
Mi dicono che era già abbastanza piena d’estate, nonostante il clima torrido. Molto più Essaouira, la regina dei venti alisei, che in estate è quasi fredda. Più a sud invece il turismo sta riprendendosi soltanto dall’autunno. Persino nei luoghi poco frequentati dove ho portato il mio gruppo: il deserto ai piedi dell’Anti Atlante, le piccole e bellissime dune della depressione del già lago Iriki, le oasi sorprendenti che si nascondono tra le rocce arse della catena montuosa presahariana e la costa oceanica a sud di Agadir, fino alla Laguna di Nayla, a cento chilometri dalle Canarie.
Ovviamente ho trovato le persone cambiate, gli amici invecchiati e a volte provati dalla lunga pausa del Covid, anche se va detto che quaggiù la vita non è mutata tanto in quel periodo, quanto invece l’economia ha sofferto. Chi ha potuto ha fatto piccoli lavori di manutenzione delle strutture ricettive, i più hanno cercato di sopravvivere fino alla ripresa, minimizzando i costi. Qualcuno non l’ho più ritrovato. Per esempio, a Nayla si è trasferita l’intera famiglia dell’anziano proprietario della piccola struttura dove abbiamo l’abitudine di soggiornare: dopo la sua morte hanno dovuto prendere in mano l’attività direttamente, pena la perdita di tutto quanto il padre aveva costruito come suo personalissimo sogno realizzato. Infatti per uno straniero non è facile far valere i propri diritti in un paese molto corrotto dove senza le giuste amicizie poco si fa. E la neo albergatrice improvvisata, gentilissima e molto compresa del ruolo di cui improvvisamente è stata investita, mi ha raccontato come sia effettivamente difficile in quel desolatissimo sud di una provincia sahariana difendere la sua stessa proprietà e farlo tra l’altro come donna.
L’amico Lahoucine, funzionario comunale che anni fa aveva qualche passione politica, ha definitivamente abbandonato l’interesse verso i partiti di una finta democrazia che a sud si mostra ancora più corrotta che altrove, per occuparsi a tempo pieno dei numerosi figli, che riesce, almeno per la parte femminile, ad accompagnare agli studi e a una professione. La sua sensibilità per le questioni sociali ne fa un naturale mediatore: è lui che quando può ci accompagna dalle associazioni femminili del comune rurale di Tagmoute. La simpatia e la buona volontà di queste donne non è sufficiente a condurle verso un futuro di emancipazione e sviluppo sociale, ma è straordinaria l’apertura che si vive in alcune piccole oasi berbere a proposito della libertà femminile. Mi ha fatto piacere riscontrare che la nuova presidente della federazione delle associazioni ha un carattere deciso e pare poter dirigere veramente il gruppo verso qualche progetto più lungimirante: tutti siamo stati piacevolmente sorpresi nel vederla andare spigliata in motoretta nonostante la lunga e larga gonna tradizionale. E ancor più confortante è stato l’incontro con la giovane collaboratrice dell’associazione femminile di Ait Kin che comunicava con noi in un perfetto inglese, imparato attraverso internet nella lunga pausa di questi anni.
Nella piccola scuola dei nomadi vicino alle dune dell’Iriki ci sono soltanto quattro studenti. Li abbiamo incontrati col maestro Ibrahim, che vive con passione quest ...[continua]
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