Cari amici, la Pasqua è arrivata in questa primavera capricciosa, che potrebbe durare un solo giorno, ma finalmente è qui, dopo che l’equinozio si è presentato sotto la neve. In questo periodo dell’anno, oltre alle fredde giornate di sole, abbiamo anche altre usanze. Vi sono ovunque biglietti raffiguranti agnellini che trotterellano allegramente negli allevamenti inglesi -e che diventano l’arrosto sacrificale della tradizione- insieme a una sovrabbondanza di uova di cioccolata, panini dolci glassati a croce, tanto bricolage raffazzonato e visite alle chiese e ai centri per il giardinaggio. È un momento dell’anno dedicato alla famiglia; ma, nell’ombra della Brexit, alcune famiglie inglesi stanno soffrendo, oppure sono state spinte nell’indigenza. E per quanto la Pasqua sia una festa di resurrezione, di speranza, stanno affrontando la crudeltà dell’incertezza.
È colpa di una precisa politica volta a creare un "ambiente ostile” per gli immigrati clandestini, che ha contaminato l’intera arena dell’immigrazione e che si sta dimostrando terribile nei confronti delle famiglie. In parte è anche colpa della ricaduta post-Brexit, che come un isotopo radioattivo scende silenziosa, avvelenando subdolamente tutto e tutti. Ora il Ministero dell’interno esige che i proprietari di immobili controllino la regolarità dei documenti d’immigrazione degli affittuari, che gli ospedali indaghino su chi ha bisogno di cure prima di fornirle e pretendano pagamenti anticipati; inoltre ha invitato le scuole a rilasciare dati sulla posizione degli alunni e, per quanto concerne il sistema dei benefici, diventa indispensabile conoscere la provenienza di chi ne fa richiesta.
Questa gente credeva di essere al sicuro, ha investito in questo paese, ha faticato per esso, ha pagato le tasse per decenni e ha il diritto di rimanere. Può trattarsi di accademici che hanno messo a repentaglio la propria vita lavorando per organizzazioni umanitarie nostrane e che sono stati assunti da università britanniche, come nel caso del dr. Ernesto Schwartz-Marín e della dr.ssa  Arely Cruz-Santiago, che lavorano per l’università di Durham e vivono qui da undici anni. Hanno una figlia undicenne che frequenta una nostra scuola. I loro problemi sono iniziati dopo che sono andati in Messico, nel 2014 e nel 2015, per lavorare con le vittime delle gang e creare un database di Dna da impiegare come ausilio per il ritrovamento delle persone scomparse. Eppure -udite, udite!- il Ministero dell’interno ha deciso che nonostante la coppia fosse stata spedita lì dal Consiglio di ricerca economica e sociale e nonostante avessero messo a repentaglio le proprie vite, la loro permanenza all’estero era durata troppo a lungo, infrangendo le restrizioni imposte dai loro visti.
Undici anni, una vita stabile, il lavoro umanitario, l’impiego in un’università britannica. Nulla di tutto ciò ha importanza: due settimane e devono andarsene. In Messico le loro vite sarebbero in pericolo proprio a causa del lavoro che hanno svolto con le vittime delle gang della droga. Undici anni. Quarantaquattro anni. Immaginate se vi mandassero in un ospedale di Londra per farvi curare un cancro alla prostata, dopo che siete vissuti nel Regno Unito per quarantaquattro anni, e vi dicessero, già all’ingresso, che non possono curarvi, a meno che non paghiate in anticipo 54.000 sterline, perché non avete un passaporto inglese. È il caso di Albert Thompson, la cui madre, che fa parte della generazione Windrush, giunse qui dalla Giamaica negli anni Sessanta per diventare infermiera. La Giamaica è parte del Commonwealth britannico e combatté a fianco della Gran Bretagna durante la Seconda guerra mondiale. La madre di Thompson fu invitata qui per aiutarci a ricostruire un paese impoverito e devastato dal conflitto.
Dal momento che al Ministero dell’interno hanno dei sospetti sul suo conto, Albert ha perso la casa, rimanendo senza dimora per tre settimane. Il passaporto giamaicano che aveva da ragazzino non è ormai più valido, e non sapeva che per naturalizzarsi doveva richiederne uno britannico. Il problema non era mai emerso, finché il Ministero dell’interno ha deciso di adottare una strategia di miseria imposta. Così il nostro sessantatreenne malato di cancro e bisognoso di cure, sposato qui e padre di due maschi e una femmina, tutti cittadini britannici, figlio di una donna che ha passato la vita a lavorare per il servizio sanitario nazionale, e che ha pagato le tasse per gli ultimi trent’anni, ...[continua]

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