Domenica 22 aprile, "Le Parisien Dimanche” ha pubblicato un manifesto firmato da 300 personalità "contro un nuovo antisemitismo” sul suolo francese alimentato dalla "radicalizzazione islamista”.
L’appello, scritto da Philippe Val, ex direttore di Charlie Hébdo, vede tra i firmatari Annette Wieviorka, Georges Bensoussan, Alain Finkielkraut, Pierre-André Taguieff, e poi Nicolas Sarkozy, Manuel Valls, l’ex sindaco di Parigi Bertrand Delanoë, ma anche alcuni imam, tra cui Hassen Chalghoumi, da sempre impegnato nel dialogo interreligioso.
Nel testo si legge che "L’antisemitismo non è affare degli ebrei, è affare di tutti”; si denuncia come la Francia sia diventata "teatro di un antisemitismo omicida. Il terrore si diffonde...”. Si ricorda come, nella storia recente, undici ebrei siano stati uccisi -e alcuni torturati- in quanto ebrei, da degli islamisti radicali.
Il timore di essere accusati di islamofobia porta ormai a nascondere la realtà: "gli ebrei francesi hanno venticinque volte più probabilità di essere attaccati rispetto ai loro fratelli musulmani. Il 10% dei cittadini ebrei dell'Ile-de-France (circa 50.000 persone) sono stati recentemente costretti a trasferirsi perché non si sentivano più al sicuro… è in corso una pulizia etnica silenziosa nel paese di Emile Zola e Clemenceau”.
"Perché questo silenzio?”, chiedono i firmatari. com’è possibile che la radicalizzazione islamista (e antisemita) venga derubricata a mera "espressione di una rivolta sociale”; sembra che "una parte della sinistra radicale abbia trovato nell’antisionismo l’alibi per trasformare i boia degli ebrei nelle vittime della società”.
L’appello ha scatenato un acceso dibattito anche all’interno dello stesso mondo ebraico.
Il 23 aprile Dominique Vidal ha spiegato che con quell’appello condivide "un'unica convinzione: la lotta contro l'antisemitismo è un imperativo morale e politico, in una società dove ancora esistono forme di razzismo”. Tuttavia non concorda "né con l’analisi del fenomeno, né con l’approccio per combatterlo”.
Intanto, spiega Vidal, il Rapporto sulla lotta contro il razzismo, l’antisemitismo e la xenofobia ci dice che oggi l'89% della popolazione considera gli ebrei "francesi come gli altri”, una proporzione maggiore di 8 punti rispetto a quella riservata ai musulmani e di 30 punti rispetto ai rom.
Dopodiché, riconosce Vidal, "i pregiudizi antisemiti, sebbene in diminuzione, rimangono significativi”: il 35% dei francesi pensa ancora che "gli ebrei abbiano una rapporto particolare con il denaro”, il 40% è convinto che "per gli ebrei francesi, Israele conta più della Francia”.
Però sia le violenze antimusulmane sia quelle antisemite sono registrate in calo. Il fatto è che accanto ai dati oggettivi, c’è l’aspetto soggettivo: la paura non guarda le statistiche e l’assassinio di Mireille Knoll, la signora ebrea di 85 anni sopravvissuta alla Shoah, ha avuto un impatto tremendo.
Vidal non può però che contestare certe espressioni come "terrore” e "epurazione etnica” (neanche fossimo nel mezzo della guerra in ex Yugoslavia, ha commentato in una videointervista). E poi c’è il "grande assente” del manifesto: il conflitto israelo-palestinese. "Eppure i massacri delle ultime settimane contro le manifestazioni a Gaza, giustificati da alcuni dei firmatari, provocano più antisemitismo di tutti i versi denunciati del Corano”.
Alain Finkielkraut, uno dei firmatari del manifesto, su "Liberation”, ha voluto replicare ad alcune critiche: le formulazioni si possono certo rivedere, ma l’appello "ha il merito di mettere i puntini sulle i”. "Non si tratta di stigmatizzare i musulmani nel loro insieme, ma di prendere atto che in Francia si sta assistendo a un nuovo antisemitismo”, che Finkielkraut definisce "d’importazione”. Alla giornalista che gli ha chiesto se si senta in pericolo, ha risposto che nel quartiere dove vivevano i suoi genitori, tra République e Gare du Nord, non si sente al sicuro. "Mi è capitato di subire delle ‘quenelles’ (un gesto volgare inventato dal comico francese Dieudonné, adottato da alcuni movimenti antisemiti) accanto alla Gare du Nord. Per gli ebrei della mia generazione è qualcosa di incredibile”. "Abbiamo vissuto a lungo nell’autocensura per non stigmatizzare una popolazione già precaria. Beh ora basta, bisogna strappare il velo”.
Michel Wieviorka, che ha da poco curato il volume collettivo "Antiracistes” (ed. Robert Laffont), il 24 aprile, sempre su "Libération”, ha invece giudicato il manifesto "partiel et partial”, cioè incompleto e di parte nell’addossare ogni colpa all’islam. Wieviorka invita a guardare a cosa sta succedendo "in Polonia, Ungheria e Austria, per esempio, dove il ritorno dell’antisemitismo deve poco o nulla a una presenza musulmana e dove invece prosperano le buone vecchie categorie del nazionalismo”.
Non solo, oggi "a condividere lo spirito pieno d’odio di Céline, a ridere con Dieudonné, a dubitare e sospettare con Soral, a negare Auschwitz con Faurisson non sono solo i musulmani, tutt’altro”.
Proprio per questo Wieviorka, pur criticandolo, invita a cogliere l’occasione di questo appello per aprire un dibattito costruttivo, in cui, anziché lanciare invettive, ci si confronti con franchezza.
L’antisemitismo va certamente combattuto, ma "con determinazione e sangue freddo” ammonisce ancora Dominique Vidal: "Fare una gerarchia tra i razzismi è cadere nel razzismo. Fare una gerarchia nella lotta contro il razzismo è sabotarla. Questa lotta indispensabile, o la vinceremo insieme o mai”.
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