Una parola di recente invenzione è Brexit. Per quanto mi riguarda è una parola disastrosa, una parola come un tunnel buio. Fa parte di un nuovo lessico. Dopo l’invenzione Brexit è arrivata la parola "remoaner” (gli "scontenti”), impiegata dai "Brexitieri” per etichettare coloro che hanno votato per "rimanere”, che cercano di dare voce a un’opinione differente, con un dibattito democratico o addirittura riportando fatti incontestabili. È un termine che ci sminuisce e priva di valore le nostre preoccupazioni; un uso studiato che ha assunto una popolarità tale che siamo stati effettivamente ridotti al silenzio.
"Brexitieri” è un’invenzione che dà agli ideologi di destra che manovrano l’opportunistico piano Brexit un vantaggio legato all’orecchiabilità delle parole: Brexitieri come moschettieri, al galoppo verso la liberazione invece che verso la distruzione. L’esatto contrario di quanto sta accadendo nella nostra terra di perdite. Quaggiù, nel nostalgico Shangri-La evocato da questi faccendieri muniti di destrezza verbale e sogni da due soldi, a perdere, sta accadendo qualcosa di completamente diverso. Si tratta, naturalmente, della mia opinione. Nel nostro regno diviso, so che alcuni di coloro che hanno votato Brexit danno la colpa a chi le impedisce di funzionare a dovere: una misteriosa falange di sabotatori sta cercando di fermare il più assennato dei piani! Oppure, d’altro canto, c’è chi mormora -seppur con rammarico- di avere abboccato alle menzogne (350 milioni di sterline alla settimana per l’Nhs) e agli slogan: "Riprendiamoci il paese”? Da dove?
Sono sempre andata fiera della nostra creatività linguistica. Shakespeare coniò innumerevoli nuovi termini, da "barefaced” (sfacciato) a "discontent” (malcontento), da "bloodthirsty” (assetato di sangue) a "elbow” (gomito). La nostra lingua è una vivace e caleidoscopica meraviglia che è fluita attraverso le generazioni con un ingegno e una libertà che donano all’inglese ali per volare verso un reale Shangri-La. Abbiamo parole per le utopie e un dizionario per la distopia. È una lingua magica, ma in un certo senso l’inventiva moderna insozza questa meraviglia.
Stiamo perdendo le parole e la loro conoscenza in modi non esclusivamente politici. Che ne è stato della parola solidarietà? Tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta era molto in voga, mentre dagli anni Novanta in poi è scomparsa quasi del tutto. Cosa accade quando perdiamo una parola la cui memoria ha un’importanza viscerale, come ad esempio Auschwitz? Eppure, secondo il gruppo Schoen Consulting, che ha condotto un’indagine per la Conferenza sulle rivendicazioni materiali ebraiche contro la Germania, il 41% degli americani non ha mai sentito parlare di Auschwitz. Perdiamo una parola e perdiamo la storia, la ragione, il senso e la parte migliore di noi.
L’età vittoriana fu un secolo in cui le cose vennero legate a nuovi nomi, e con essi alla proprietà. Fu un’era di esplorazioni, in cui i naturalisti e i botanici viaggiarono in lungo e in largo prendendo appunti, catalogando, raccogliendo, identificando; e questi nomi costituirono un accumulo di nuova e stimolante conoscenza. Nel mondo naturale di oggi, tuttavia, perdiamo le parole come un albero morente perde le foglie. Sono i giovani, i quali assorbono gli alfabeti della tecnologia digitale, che stanno perdendo più rapidamente i nomi delle cose naturali; ma è un’amnesia collettiva che sta colpendo tutti quanti. L’Oxford Junior Dictionary ha scelto di fare a meno della parola "bluebell” (campanula), il meraviglioso fiore messaggero della pr ...[continua]
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