sembra che la depressione, o comunque un malessere generale, sia la condizione più diffusa tra le persone sensibili a quanto ci circonda, alla direzione che pare abbiano preso la storia recente e la politica, in Italia come in tutto il mondo o quasi. Certamente lo sconforto è un sentimento diffuso per quei marocchini che avevano sperato nella reazione popolare all’ingiustizia e nei movimenti che hanno infiammato negli ultimi due anni il Marocco. È arrivata come una doccia fredda la condanna per gli imputati di Hirak, il movimento di protesta del Rif. Vent’anni di prigione al leader Zafzafi e ad altri membri del movimento e pene comunque pesanti per tutti, da tre a vent’anni di carcere. Che le cose si stessero mettendo al peggio s’intuiva, almeno da quando gli imputati avevano deciso di boicottare il processo, interrompendo la loro partecipazione fino a quel momento piuttosto attiva. "Attentato alla sicurezza dello stato” pare davvero un’imputazione esagerata per chi abbia seguito la vicenda, nata, è bene ricordarlo, sull’onda dell’indignazione scatenata dall’orribile fine del giovane commerciante di pesce Fikri ad Al Hoceima, capoluogo del Rif, morto schiacciato negli ingranaggi del camion che portava via la sua merce sequestrata e che l’uomo aveva disperatamente cercato di fermare. La protesta aveva visto una partecipazione di massa, fin dall’ottobre del 2016, che in qualche modo si ricollegava alla breve primavera marocchina del 2011 e poi alle successive manifestazioni di protesta in altre regioni marginalizzate del Paese, come Zagora e Jerada.
Prevale un clima generale di disillusione e forte critica verso le istituzioni, tra le quali sembrava salvarsi soltanto la più elevata, ovvero la monarchia. Proprio da essa era giunto il segnale che pareva dare ragione al movimento, con la stigmatizzazione e conseguenti dimissioni di quei ministri e funzionari individuati quali responsabili del mancato sviluppo della regione dov’era nata la protesta (finanziamenti stanziati inutilmente data la lentezza burocratica e politica). Tanti avevano inappropriatamente (perché in anticipo sul giudizio) invocato la grazia reale sugli imputati, che ora hanno l’opportunità del ricorso in cassazione, e anche, sia pure con ancor minore possibilità di successo, di una mozione parlamentare degli unici due deputati dell’estrema sinistra (eletti rispettivamente e non a caso nei quartieri più benestanti di Casablanca e Rabat) che chiede l’amnistia per i condannati a causa delle proteste popolari degli ultimi due anni: un atto che non avrebbe bisogno dell’intervento del re, restando nell’ambito del governo e del parlamento.
Lo sconforto generale è anche legato al tema del più riuscito intervento popolare di opposizione che si sia vissuto recentemente, cioè il boicottaggio di alcuni marchi importanti dell’economia marocchina: non ci sono state al momento azioni decisive di reazione da parte del potere. Probabilmente ciò è anche dovuto alla natura del boicottaggio stesso, volto più a una censura di certa economia e politica che a richieste specifiche, pur presenti: quella molto chiara dell’abbassamento dei prezzi.
L’incapacità o impossibilità del governo e del Makhzen intero di offrire risposte al boicottaggio emerge invece lampante, a dimostrazione ulteriore del nodo irrisolto principale del Paese: quello di un potere assoluto che tenta di mostrarsi democratico, infilandosi invece ogni giorno di più in un vicolo cieco. Lo svilimento quotidiano delle istanze democratiche nella repressione del libero pensiero e delle manifestazioni di disagio sociale e nel contestuale indebolimento delle già fragili istituzioni democratiche, in primis i partiti politici e il parlamento, è realtà tangibile a fronte di un sempre maggiore accentramento del potere nella figura del monarca e della sua ristretta cerchia.
Che le condizioni della popolazione media siano sempre peggiori, a fronte del miglioramento costante e rapido di quelle di chi invece già gode di un certo benessere o privilegio, non fa che esacerbare gli animi.
A tutto ciò si aggiunge un’Europa sempre più lontana dall’idea di modello o persino di Eden. Un’Europa crudele alla frontiera e non più in grado di garantire quei diritti di cui sembrava la paladina internazionale: sono di questi mesi, con l’inizio dell’estate e dei lavori stagionali ad alto sfruttamento di forza lavoro immigrata, i casi del sud della Spagna (la violenza denunciata da molte donne ...[continua]
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