Allora
Saigon fu liberata dai Viet Cong e dall’esercito regolare del Vietnam del Nord il 30 aprile del 1975. Quasi tutti abbiamo visto allora e qualcuno, anche dei giovani, avrà visto dopo, in rete, in televisione o al cinema, la scena dei funzionari americani appesi agli elicotteri (i mezzi di offesa emblematici di quella guerra trasformati in scialuppe di salvataggio) in fuga dal tetto dell’Ambasciata a Saigon.
Nel ’75 lavoravo come redattore per Giulio Einaudi Editore e mi occupavo, con Luca Baranelli, proprio di problemi politici e sociali italiani ed esteri. L’interesse e l’emozione in Casa editrice, come in tutte le sedi che si occupano di informazione, ma soprattutto nostro, di noi che seguivamo il movimento contro la guerra in America, fu anche maggiore che nel resto del paese. Cercavamo testi, documenti, da pubblicare, per saperne di più.
Non molti mesi dopo, Enrica Collotti Pischel, studiosa della Cina e dell’Oriente, consulente su questi temi della Casa editrice, arrivò da Parigi con un dattiloscritto in francese, inedito, delle dimensioni di un libro breve, che raccontava l’offensiva finale, partita dal Vietnam del Nord e conclusa a Saigon, di Tran Van Tra, il generale vietnamita che l’aveva comandata. Noi redattori eravamo molto interessati, ma molto ignoranti. E allora non c’era Wikipedia. Di Tran Van Tra sapevamo quello che ci aveva detto Enrica Collotti proponendo il dattiloscritto per la pubblicazione: che era stato un capo militare dei Viet Cong e che aveva comandato l’offensiva. Il Generale vietnamita per antonomasia era il mitico Vo Nguyen Giap, il vincitore di Dien Bien Phu. Degli altri generali non sapevamo nulla. E dell’origine e storia del dattiloscritto Enrica sapeva solo che le era stato dato da compagni francesi. 
Ebbi il testo in lettura e mi affrettai a leggerlo. Lo trovai di estremo interesse, ma molto diverso da quel che mi aspettavo; e molto difficile da leggere. Era la storia, anzi la cronaca, condotta in termini strettamente militari, con nomi di luoghi impossibili da trovare sulle carte reperibili, e di corpi armati, che per noi non volevano dire nulla, con chiari riferimenti alle informazioni che avevano condotto alla decisione di attaccare per prendere Saigon e dei principi strategici e tattici cui si erano ispirati il Comando generale vietnamita e il Generale Comandante, ma pochissime informazioni di contesto e pochi riferimenti al resto della Guerra che quell’attacco era destinato a concludere. Nessun riferimento alla situazione sociale e politica del Nord e del Sud Vietnam. Ricordo che il testo nominava persino le api, che avevano messo fuori combattimento un gruppo di mitragliatrici che le avevano disturbate, ma non i partigiani, i Viet Cong, con cui ci eravamo identificati. Così si fanno le storie militari.
È vero che anche documentari molto noti, come "Il cielo, la terra”, del grande Joris Ivens, mostravano cannoni moderni tra le armi di cui disponevano i Viet Cong, accanto a quelle rudimentali. Ma il simbolo di quella guerra, per noi, era la frase che apriva il film e che cito a memoria: "Loro hanno aerei che volano a più di mille chilometri l’ora. Noi non ne abbiamo bisogno. Noi siamo già qui”. Dov’era finita la guerra di popolo?
Le informazioni, dapprima ritenute inattendibili, che avevano indotto il Comando a decidere l’offensiva finale, dopo giorni o settimane di esitazione, erano che i sudvietnamiti si ritiravano dappertutto nello stesso momento. Questo, scriveva Tran Van Tra, era l’errore strategico, irrimediabile. Avrebbero perso la fiducia dei loro funzionari, dirigenti, notabili. Avrebbero avuto la prima linea che inciampava sulla seconda, i civili in fuga sulle stesse strade dei mezzi corazzati e dell’esercito, l’intero sistema logistico disfatto, i rifornimenti alimentari e bellici bloccati: la catastrofe. Era l’ora giusta per l’attacco finale. 
Dove bisognava attaccare? Seguendo i migliori esempi, dove il nemico pensa che non potrai passare, dove non ci sono strade normalmente percorribili, dove i ponti sono bombardati, non ci sono più paesi abitati, contadini al lavoro: percorrendo il sentiero di Ho Chi Min, la rete di sentieri e guadi a ridosso della frontiera, e oltre la frontiera col Laos e la Cambogia, che i guerriglieri avevano usato durante tutta la guerra, malgrado i defolianti (il famoso agent orange) e i pesantissimi bombardamenti. Una scelta analoga fecero Rundstedt e Guderian all’inizio della Seconda guerra mondia ...[continua]

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