C’è un sonetto di Auden (The Novelist) nel quale la vocazione, il temperamento, il destino del poeta vengono nettamente distinti, anzi contrapposti, a quelli del narratore. Mentre il poeta, dice Auden, è "imprigionato nel suo talento come in un’uniforme, sa sorprenderci come un uragano e muore giovane” (cioè non riesce a entrare nell’età matura), il narratore, al contrario, deve lottare per uscire dal suo "boysh gift”, deve andare oltre il suo dono giovanile e imparare a convivere con la goffa, noiosa, inelegante vita comune, condividendo con tutti colpe e desideri.
Questa contrapposizione sembra proprio che non valga per Elsa Morante. Sono veramente rari i narratori, soprattutto i romanzieri, che sono stati anche poeti, o i poeti capaci di scrivere romanzi. Il primo nome che viene in mente è quello di Goethe, un gigante letterario forse eccessivamente versatile, con una vocazione enciclopedica e un carattere metodico, a suo agio in tutti i generi letterari, narrativa, poesia, teatro, prosa scientifica e di viaggio. Elsa Morante non aveva modelli di questo genere, né aveva Goethe in simpatia. Nella sua idea di letteratura, però, poesia e narrativa non erano che due dimensioni, o momenti, o tempi, o tonalità dell’invenzione. In gioventù aveva praticato la forma sintetica della novella e del racconto, sia perché collaborava a giornali e riviste, sia perché somigliavano di più alla fiaba o al poemetto in prosa. Ma con la composizione laboriosa di Menzogna e sortilegio, pubblicato nel 1948, il romanzo diventò il suo genere letterario. Lo considerò erede moderno dei poemi epici antichi, fino alla Commedia dantesca e all’Orlando furioso. I suoi romanzieri più amati, dopo Cervantes, erano Stendhal, Melville e Dostoevskij. Per lei, comunque, Moby Dick e Guerra e pace erano poemi, il Canzoniere di Petrarca era un "poema intimista”, quello di Dante un "poema saggistico”, le novelle di Cechov erano nel loro insieme "un romanzo” e le narrazioni di Kafka "favole surreali”.
Oltre a questa visione globale della poesia in forma sia epica che lirica (tra i suoi poeti più amati c’erano Hoelderlin, Rimbaud, Saba, César Vallejo, Miguel Hernandez, Dylan Thomas) le vie di comunicazione diretta o sotterranea fra narrativa e poesia per la Morante erano la visione mitica e lo stile. La prosa dei suoi romanzi e racconti è la più "poetica” del Novecento italiano. Di solito, quando si è cercato di capire perché in Italia il romanzo sia stato un genere piuttosto debole e saltuario, si dice che la nostra è una letteratura più di scrittori e di prosatori che di veri narratori. Sarebbe dunque la passione per la "prosa d’arte” ad aver reso la vita difficile al romanzo italiano. In Elsa Morante questa opposizione è assente. Nella sua opera la perfezione artistica della prosa coesiste con l’invenzione di personaggi e vicende. In nessun altro romanziere del Novecento italiano si incontrano tanti personaggi, umani e a volte anche animali, gatti e cani. E nessun altro romanziere italiano, dopo Manzoni, ha scritto una prosa narrativa così attentamente costruita, così armoniosamente sintattica e lessicalmente, musicalmente calcolata.
Nelle poesie della Morante si incontra questo rapporto fra prosa e poesia in direzione inversa. I suoi versi liberi hanno un andamento, una ritmica prosastica. Leggendo il suo primo libro di poesie, Alibi, uscito nel 1958, si ha subito l’impressione e in alcuni casi la certezza che quei testi siano stati scritti in margine a pagine di romanzo. Ecco il primo testo, "Minna la Siamese”:
Ho una bestiola, una gatta: il suo nome è Minna.
Ciò ch’io le metto nel piatto, essa mangia,
e ciò che le metto nella scodella, beve.
[...]
Tanto mi bacia, a volte, che d’esserle cara io m’illudo,
ma so che un’altra padrona, o me, per lei fa uguale.
Mi segue, sì da illudermi che tutto io sia per lei,
ma so che la mia morte non potrebbe sfiorarla...
(1941)
La gatta Minna sembra un personaggio, ma è soprattutto un idolo. La sua indifferenza per la morte della sua padrona (che "padrona” certo non è!) segnala che in lei il preumano e il sovrumano possono presentarsi indistinguibili. Indifferenti e misteriosamente remoti sono gli idoli e così pure alcuni protagonisti della narrativa della Morante, quando non sono vittime (ma anche in quanto vittime sono idoli e oggetto di un’idolatria drammatica e disperata). Un altro e supremo idolo è quello che compare nel "Canto per il gatto Alva
...[continua]
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