strutturali nella società italiana per le scelte politiche possibili.
Trovo esasperanti i commenti sulla situazione italiana limitati al solo andamento del Pil, le proposte di sole misure finanziarie come strumento di politica economica. È ovvio che le misure finanziarie su grande scala, da parte della Bce, per esempio, come il quantitative easing, hanno avuto grande importanza; che la dimensione macroeconomica è importante. Mi chiedo però se sia sufficiente per capire come funziona una società e cercare di cambiarla.
Il mondo non è fatto di sola moneta. Cosa succede realmente quando si incentiva o disincentiva dipende dall’età dei cittadini, dalle loro competenze, dalla storia (e quindi dalla memoria e dalle aspettative); dal capitale disponibile, nel senso di macchine, impianti; dalla terra e da come è coltivata, dagli alberi e dalle vigne; dalle città, dai trasporti che le collegano; dalla cultura, non solo nel senso di spettacoli e oggetti da mostrare ai turisti per "valorizzarla”.
Si parla di "ripresa della crescita”, come se la crescita indefinita fosse materialmente possibile, come se fosse la condizione naturale del mondo, da cui si può, temporaneamente, uscire, come per una malattia, per decisioni sbagliate dei governi, ma a cui è ovvio tornare. Sappiamo tutti che una nuova crisi è in preparazione, che sviluppi positivi mezzo secolo fa producono oggi effetti negativi dal punto di vista ecologico, della sostenibilità materiale, ma facciamo come se il mondo fosse davvero a una sola dimensione.
Basta tornare con la memoria a cinquant’anni fa per renderci conto che alcuni obbiettivi politici che allora erano difficili ma ovvi, oggi sono una follia. Se si realizzassero davvero sarebbero catastrofici. Mezzo secolo fa molte case erano distrutte, come le strade e le ferrovie. Le case che c’erano, soprattutto in montagna e al sud, erano prive di servizi essenziali, strette, senza luce, senza acqua corrente, senza riscaldamento. Costruire case non era solo un modo di impiegare edili disoccupati, era una necessità assoluta. Avremmo fatto bene anche allora a preoccuparci degli aspetti ecologici, delle tecniche di costruzione, del consumo di suolo, della pianificazione delle città e dei paesi. Qualcuno (vedi il Calvino della Speculazione edilizia) si accorse anche allora degli orrori che stavamo producendo. Ma far uscire gli italiani dalle macerie, dalle baracche, dai tuguri, dalle grotte, era una necessità assoluta. Avremmo potuto farlo diversamente. Non era obbligatorio far ricostruire l’Italia dai palazzinari, passare dalle baracche del Tiburtino terzo al Tiburtino di oggi. Ma la necessità impellente c’era.
Oggi riproporre l’edilizia come motore della ripresa, magari aggiungendo ritualmente "di ristrutturazione”, sembra cecità. Come sembra cecità mascherare da ecologiche attività ad alto impatto ambientale immediato, come la costruzione della Torino-Lione ad alta velocità, perché in futuro, tra mezzo secolo, quando sarà finita, potrebbe sottrarre merci alla strada. Non si tratta solo dell’amianto, che sembra presente solo in tracce, sempre pericolose, peraltro, ma dei 17 milioni di tonnellate di smarino, riutilizzabili nella costruzione solo per meno della metà, delle quasi 200.000 tonnellate di rifiuti contaminati, dei decenni di lavoro e di polvere. Il Gottardo, che provocò migliaia di morti, anche per schistosomiasi, per l’inquinamento da feci delle acque, fu assai peggio per i lavoratori. Ma anche il nuovo tunnel non sarebbe uno scherzo. Forse il tunnel è insensato anche dal punto di vista economico, ma non c’è solo l’economia.
Mezzo secolo fa eravamo giovani, non solo nel senso che lo eravamo io e i miei coetanei, ma nel senso che l’Italia attraversava la transizione demografica, passava da alta natalità e alta mortalità a bassa natalità e bassa mortalità. La transizione produce un aumento delle persone in età di lavoro rispetto a quelli che sono troppo giovani o troppo vecchi per lavorare. Non è ancora aumentato il numero dei vecchi e non ci sono già più tanti bambini. Nel linguaggio follemente capitalistico che ci affligge si chiama "dividendo demografico”.
Andrebbe potenziata e infittita la rete ferroviaria, resa logisticamente conveniente per le merci, mentre sarebbe in ogni caso impossibile sostituire la gomma per il tratto finale. Invece l’alta velocità già realizzata, che fa passi troppo lunghi per noi e troppo corti per l ...[continua]
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