Cari amici,
a fine ottobre è stato presentato il rapporto annuale del Consiglio economico sociale e ambientale (Cese) del Marocco. Esso analizza anche la campagna di boicottaggio contro alcuni marchi simbolo del potere economico nel paese: la Danone e dunque l’intervento economico francese, le stazioni di servizio della compagnia petrolifera Afriquia del ministro dell’agricoltura Akhannouch e la più importante società di vendita dell’acqua in bottiglia, la famosa Sidi Ali di Oulmés, della ex ministro Meriem Bensalah.
Tale boicottaggio, partito nell’aprile del 2018 e dunque attivo da un anno e mezzo, ha avuto una tale adesione da causare perdite elevate di reddito alle imprese colpite. La Danone, per esempio, dichiara di aver perso nel 2018 più di cinquecento milioni di dirham (circa cinquanta milioni di euro) e il trend non pare essere migliorato nel primo semestre del 2019, nonostante la società si sia prodigata per abbassare i prezzi di alcuni prodotti proprio in risposta alla campagna di boicottaggio. Da parte sua, il gruppo della Bensalah ha avuto perdite altrettanto pesanti, con un reddito netto per gli azionisti diminuito dell’87%.
Nel rapporto del Cese si evidenzia come il successo del boicottaggio sia legato alla situazione di disagio e malessere sociale generalizzato, ma al contempo si mette in guardia sulle carenze del sistema di protezione del consumatore, della regolazione della concorrenza nel mercato e della trasparenza dei poteri pubblici e imprenditoriali.
Il rapporto chiede dunque innanzitutto una revisione della legislazione per garantire una maggior tutela del consumatore e interventi per ridurre la possibilità di abuso di posizione dominante e di fattori contrari alla libera concorrenza, che probabilmente si sono verificati nei casi presi di mira dalla campagna di boicottaggio. Si invoca l’istituzione di un Osservatorio dei prezzi per un paniere di beni anche non alimentari, sul modello francese, e si auspica un intervento sulle situazioni di potenziale conflitto di interessi (chiaro riferimento alla non limpida, ma piuttosto evidente, mescolanza tra potere economico e politico).
Varie analisi della campagna di boicottaggio avevano cercato di metterne in luce una motivazione politica e partitica piuttosto che socio-economica, indirizzando un forte sospetto sulla figura, ormai da parecchio tempo in ombra, del primo ministro costretto alla rinuncia, Abdellilah Benkirane. Come se si trattasse di una sorta di vendetta contro il suo nemico numero due (il numero uno essendo il monarca), ovvero il potente ministro Akhannouch. In effetti, analizzando i post della campagna sui social network emerge soprattutto quest’ultimo quale obbiettivo della protesta; probabilmente per il potere debordante e la maggiore visibilità rispetto a qualunque altro soggetto attaccato nella campagna.
Certamente la figura di Benkirane, messa da parte così platealmente, condizionerà ancora la politica marocchina nei prossimi anni, forse anche malgrado lui stesso.
In ottobre la società civile è stata scossa da un altro evento abbastanza sorprendente, la grazia reale concessa alla giornalista Hajar Raissouni e agli altri quattro condannati per il suo presunto aborto clandestino: il fidanzato, il medico con il suo assistente e la segretaria. Una grazia reale arrivata per permettere alla coppia, subito dopo la scarcerazione convolata a nozze, di costituire serenamente una famiglia nonostante “l’errore compiuto”. Ma anche dettata dalle intenzioni monarchiche di attutire gli effetti di una legislazione fortemente criticata in particolare dai gruppi per i diritti delle donne, come l’associazione Mali della militante Ibtissame Lachgar, che aveva seguito tutte le udienze del processo. Purtroppo pare che nel prossimo futuro non si riuscirà ad andare al di là della mitigazione della “legge liberticida’’ contro l’aborto; stesso discorso vale per le norme che colpiscono l’omosessualità o le relazioni sessuali al di  fuori dal matrimonio o la rottura del digiuno di Ramadan in pubblico... Probabilmente si arriverà a una depenalizzazione degli aborti per motivi di salute o in seguito a gravidanze forzate da violenza, che sarebbe già un primo importante passo verso una legislazione, se non libertaria, almeno più giusta. Quello che sconcerta è che un processo e una condanna su cui gravava il sospetto politico di una punizione per posizioni non allineate a quelle della monarchia, in specifico quelle della militanza islami ...[continua]

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