In effetti una specie di “infelicità senza desideri” mi sembra che abiti piuttosto stabilmente in non pochi poeti italiani di fine Novecento. Uno di questi è Attilio Lolini, divenuto quasi una leggenda per la sua estrema discrezione, per la sua capacità di apparire e scomparire. Nell’antologia da lui curata, La poesia italiana oggi (Castelvecchi 2004), Giorgio Manacorda dice di non essere “molto sicuro dell’esistenza di Lolini nella letteratura italiana, poiché egli è stato molto, e molto ingiustamente, ignorato dai suoi contemporanei”. Nato a Siena nel 1939, sembra che Lolini non si sia mai mosso da lì e forse si può capire se fra le sue traduzioni ce n’è una dall’Ecclesiaste, in cui, come una volta tutti sapevano, si dice subito: “Vanità delle vanità, tutto è vanità… Una generazione va e una generazione viene, eppure la terra sta sempre ferma. Il sole sorge, il sole tramonta e si affretta verso quel luogo da cui rispunterà… Tutti i fiumi scorrono verso il mare, eppure il mare mai si colma”.
Dunque perché darsi da fare, perché affannarsi? Le sue poesie Lolini le ha pubblicate solo da editori minori come L’Obliquo e Barbablù, forse perché gli editori maggiori lo hanno respinto, o forse perché Lolini ha respinto loro per disinteresse, pigrizia, indifferenza. O meglio ancora perché come autore di poesie è ben consapevole che più di duecento o trecento lettori non si avranno, lettori che vogliano e sappiano leggere, perché quelli in soprannumero più saranno e meno capiranno.
A sentire la voce di Lolini si capisce tutto subito:
Limoni
Quando arriva il mattino
Non guardarti attorno
Sono giorni strani
Che separano le parole
sfumano l’oro dei limoni.
Alzarsi non conviene
Meglio stare a letto
oppure andare a spasso
senza muovere passo.
(da Poesie futili)
Pigro e sfiduciato l’autore, pigra e sfiduciata la sua metrica, pigro e sfiduciato il messaggio che chi scrive manda a se stesso. Intorno c’è poco da guardare. I giorni, cioè non uno ma tutti, sono “strani”, cioè estranei, incomprensibili, non si può attribuire loro un senso: si può solo constatare che ostacolano i rapporti fra una parola e un’altra, non permettono una sintassi e in più anche i limoni, là fuori, sfumano in un pallore stanco. Così l’immobilità è il solo movimento adeguato a una mancanza di senso che deprime ogni energia. È proprio, quella di Lolini, un’“infelicità senza desideri” che riesce a malapena a tradursi in espressioni verbali inevitabilmente inespressive.
Se è bene che la poesia dica la verità e se la verità è questa, sarebbe stato difficile dirla più precisamente e semplicemente di Lolini. Poesia ai più bassi livelli energetici, che onestamente e con un filo di comicità riconosce ciò che non si ha neppure la forza di negare. Si potrebbe anche fare la malinconica ipotesi che Lolini dica qualcosa che non lo riguarda solo personalmente, perché non si vede all’orizzonte proprio niente che abbia la forza di convincere a dire e fare di più. Una pigra inerzia, a volte desolata, a volte perentoria come una inconfutabile clausola, visita la poesia di non pochi poeti.
Elio Pecora, nato nel 1936, è ancora più esplicito, benché in un tono letterariamente più sostenuto:
Tutto è avvenuto
la porta varcata
i sigilli infranti
le pupille sorprese nello specchio
perquisiti la stanza, i cassetti,
scrutati dalla finestra
la strada e l’incrocio,
progettata l’uscita,
quindi il torpido sonno,
i sogni intricati,
il risveglio.
Tutto è avvenuto.
Non altro che questa vigilia,
che l’infinito elencare
i motivi del mancamento.
(da Poesie 1975-1995)
Se l’energia non manca e a volte si manifesta in un impeto che accumula annotazioni sui propri contemporanei, sui propri simili, allora l’inerzia esplode nell’incongrua eloquenza che sembra di denuncia ma soprattutto elenca, accumula constatazioni inoppugnabili.
Impromptu
Farneticano. Che altro possono? La vita
si incarica di sfuggirgli. Vorrebbero
ghermirla,
possederla, come un vestito,
una sedia. Invece, ...[continua]
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