Non c’è democrazia senza educazione alla democrazia. Si potrebbe aggiungere che si è più o meno democratici anche per carattere e che un’educazione alla democrazia comporta una certa formazione del carattere. Coloro che hanno un istinto caratteriale alla sopraffazione o una forte vocazione al comando faranno sempre il possibile per aggirare, scavalcare, evitare le regole del comportamento democratico, che richiede una spiccata sensibilità e tendenza ai rapporti egualitari, fondati su equità, giustizia e rispetto per gli altri, soprattutto se in condizioni di inferiorità.
Non è quindi un caso se il maggiore filosofo americano del Novecento, John Dewey (1859-1952), si sia espresso compiutamente in un’opera intitolata Democrazia e educazione, pubblicata nel 1916. Per Dewey un’educazione alla democrazia richiede come presupposto una filosofia adeguata. La sua, perciò, vuole essere una filosofia della continuità, contrapposta a ogni concezione dualistica che proceda per separazioni e antitesi. Secondo Dewey le concezioni dualistiche e antitetiche hanno trovato origine “nei solidi muri che separano gruppi sociali e classi (...) per esempio che separano ricco e povero, uomo e donna, nobile e plebeo, governante e governato. Queste barriere significano assenza di relazioni scorrevoli e libere”. È questo dato di fatto sociale a essere rispecchiato e trasferito in modo diretto e inconsapevolmente acritico in ogni filosofia dualistica.
Per superare sul piano morale queste opposizioni si è dovuto perciò fare ricorso a sublimazioni etiche trascendentali, a teorie che negano idealisticamente le dicotomie in realtà ristabilite per principio come empiricamente insuperabili. Proprio perché la conoscenza empirica, comune e quotidiana, viene disprezzata dall’idealismo, si ha bisogno di contrapporle, in una dimensione superiore, una “conoscenza razionale più elevata”.
Con questi presupposti generali siamo già nel cuore del rapporto fra educazione e democrazia: per un tipo di educazione che comporti fin dall’inizio, in pratica e per metodo, la formazione dell’individuo democratico. Senza individui democratici non c’è democrazia: senza realtà empirica soggettivamente vissuta dai singoli, le regole costituzionali della democrazia sono sempre in pericolo. Le garanzie democratiche vengono perciò più dagli individui che dallo Stato, più dalla vita vissuta democraticamente che da una razionalità superiore creatrice di norme.
Ogni educazione implica un’idea del “sapere”. Anche in questo caso si ripropone una differenza sostanziale fra le società e culture non democratiche e quelle democratiche, nelle quali l’acquisizione di sapere avviene con metodi opposti:
“Da una parte sapere è la somma totale di quanto si conosce, per come è stato trasmesso dai libri e dagli studiosi. È qualcosa di esterno, un cumulo di cognizioni, come si potrebbero ammassare delle merci materiali in un magazzino. La verità esiste già bell’e pronta in qualche luogo. Lo studio è in tal caso il processo mediante il quale un individuo attinge da ciò che c’è in deposito.
D’altra parte, invece, ‘sapere’ significa qualcosa che l’individuo fa quando impara. È qualcosa di attivo che si compie personalmente” (Democrazia e educazione, La Nuova Italia 1949, p. 146).
La democrazia o la sua negazione sono in gioco nell’idea di sapere e apprendere, come dire che la politica nasce a scuola: “Socialmente -dice Dewey- la distinzione riguarda quella parte della vita che dipende dall’autorità e quella in cui gli individui sono liberi di progredire”.
Fondamento dinamico della democrazia è dunque l’individuo libero di progredire, di produrre attivamente sapere e conoscenza. Il primo dovere di un’organizzazione sociale e di uno stato di tipo democratico è di favorire la formazione, l’educazione di individui liberi... Si dovrebbe aggiungere: liberi e capaci di rispettare e favorire la libertà altrui, cosa che in regime capitalistico è tutt’altro che garantita. Ma qui si spalanca un problema che non viene né risolto né affrontato: in che misura e a quali condizioni capitalismo e democrazia possono essere reciprocamente compatibili. In molti casi, dire “democrazia capitalistica” è un ossimoro come dire, con Orwell, che “siamo tutti uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri”. Se il capitalismo non nasce solo dalla libertà ma anche dalla competizione, coloro che vincono nella competizione inferiorizzano chi perde negando così l’eguaglianza sociale democratica. La maggi ...[continua]

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