mentre arriva finalmente a Torino la notizia dell’iscrizione di mio padre novantenne sulla piattaforma per la vaccinazione anticovid, a Casablanca un mio parente neppure settantenne riceve la prima dose di vaccino, denotando una certa celerità del programma di vaccinazioni marocchino. In realtà la situazione è simile nei due paesi, almeno per i ritardi rispetto alle dichiarazioni d’intenti, ma di gran lunga meno drammatica nel paese nordafricano, con una popolazione molto più giovane.
L’anno “fuggente” passato lascia in Marocco, come ovunque, una pessima situazione a livello economico, laddove la pandemia ha aggravato cronicità del sistema e allargato le già vaste frange di povertà e miseria.
Il 2021 arriva senza ancora dare segnali concreti di via d’uscita e il mese di febbraio riporta alla memoria, grazie al decimo anniversario, il Movimento 20 febbraio legato alla grande ondata delle primavere arabe. Una protesta che in Marocco oggi sembra aver lasciato ben poco, se si tralascia una riforma costituzionale approvata con un plebiscito referendario nel 2011 apparentemente foriera di maggiori aperture democratiche in un sistema di governo largamente centrato sulla figura del sovrano. Qualcuno (mi riferisco in particolare a Noam Chomsky, come ha ricordato Luca Attanasio su “Confronti”) anticipò la nascita delle primavere arabe alla grande manifestazione/presidio di Gdeim Izik nell’autunno del 2010 presso Layoune nel Sahara Occidentale, duramente repressa dalle autorità marocchine. Anche dal punto di vista dei saharawi, l’influenza delle proteste sembra essersi ben presto arenata in un’attesa infinita e senza risposte concrete e alla luce degli ultimi eventi, aspettando le decisioni del neo presidente statunitense Biden, esse parrebbero al momento addirittura sconfitte.
è certo che la pandemia mondiale non ha migliorato le condizioni dei diritti umani nel mondo; piuttosto ha acuito in tutti i paesi più poveri o meno democratici le già grandi differenze che si vivono nei diritti economici come in quelli civili, strettamente collegati.
L’eco delle proteste popolari del 2011 in Marocco non si è però spenta se si è assistito, già a partire dalla fine del 2015, a grandi nuove manifestazioni pacifiche, quelle di Hirak nella regione del Rif, e alla loro successiva apparente disfatta con le condanne pesantissime dei portavoce del movimento, parallelamente all’intensificarsi della repressione della libertà d’opinione e all’incarcerazione sempre più frequente di giornalisti, blogger e semplici utenti attivi dei social. Nonostante ciò, la gente ha continuato a scendere in piazza altrove, così come è capitato nella regione depressa mineraria di Jerada. Proteste unite da un filo conduttore che parte proprio dal Movimento 20 febbraio, con l’accento posto sulla parola hogra, sentimento di ingiustizia, per l’esclusione sociale di sistema e l’emarginazione di vaste fasce di popolazione, contrapposta al termine karama, che significa dignità.
Non è un caso che i rapporti sui diritti umani nel paese magrebino delle organizzazioni non governative Human Rights Watch e Amnesty International, in perenne conflitto con le autorità marocchine, puntino il dito sulle violazioni delle libertà di manifestazione e di riunione (con l’emergenza sanitaria maggiormente a rischio), e di quelle di espressione a mezzo stampa e social (in particolare in relazione ai temi dell’integrità territoriale, della religione e della monarchia -e in questo caso sorprende riscontrare problemi analoghi in Spagna).
Nel mese di febbraio di quest’anno, un’altra area regionale, sempre nel nord del paese, vede il manifestarsi di grandi proteste di piazza dettate dalla disperazione dilagante: a “Castillejo”/Fnideq, al confine con Ceuta/Sebta, la popolazione, in massima parte dipendente dal contrabbando o dal lavoro nell’enclave spagnola, ha visto interrompere brutalmente le entrate economiche dalla chiusura, ancora a fine 2019, del confine di Bab Sebta. Una chiusura voluta per lottare contro il mercato nero e il contrabbando, ma senza aver organizzato e costruito con l’urgenza necessaria le risposte adeguate per la ripresa dell’economia locale, avendo invece creato insopportabili separazioni tra familiari al di qua e al di là della frontiera continentale in terra marocchina e annientato l’attività delle cosiddette donne “mulo” che, cariche all’inverosimile di merci, affrontavano quotidianamente le angherie della polizia come le fatiche del ...[continua]
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