Cari amici,
ho avuto la possibilità di ritornare accanto ai miei genitori negli ultimi anni di vita di mia madre e forse anche per questo sono particolarmente sensibile alle situazioni di separazione forzata degli affetti. Se l’amico Yassine, di cui già vi ho raccontato in altre lettere, è ritornato a Torino con il suo consueto sorriso, allargato dall’esperienza felice di riabbracciare i suoi genitori dopo tredici anni di lontananza e di frontiera inaccessibile per mancanza di documenti, lo stesso giorno che ho potuto salutarlo nella macelleria dove lavora, ho visto un altro amico, Youssef, che stava seduto in disparte, pensieroso. Unico conforto mi diceva essere il cellulare che con video chiamate e messaggi lo fa sentire un po’ meno lontano nel momento in cui interrano sua madre in Marocco. La madre di Youssef è morta pochi giorni fa. Le frontiere del Marocco sono state chiuse a fine novembre per due settimane, chiusura poi prolungata fino al 31 gennaio di questo nuovo anno e si mormora che potrebbe essere protratta ancora nel tempo vista la diffusione della variante Omicron in tutto il mondo. Così Youssef, che non vedeva sua madre da più di due anni, gli anni della pandemia, non la vedrà mai più.
Le frontiere fanno particolarmente male, lo sappiamo. Creano un danno permanente all’umanità che cerca prospettive e lo testimoniano le morti continue nel Mediterraneo e non solo.
Nel 2021 una donna speciale, che tanto ha lottato per difendere i diritti umani dei migranti e salvare la vita a molti di loro, Helena Maleno Garzòn, di “Caminando Fronteras”, è stata espulsa dal Marocco, dalla città in cui viveva coi figli da vent’anni, Tangeri. Una espulsione dopo anni di persecuzione e un lungo processo da cui era uscita indenne nonostante fosse schiacciata nelle logiche spietate delle polizie di confine, spagnole e marocchine. Sua figlia, cresciuta in quella città di frontiera, si trova adesso smarrita e quasi fosse un’apolide in Spagna, dove dovrà a quattordici anni ricostruirsi una cerchia di amici, una rete di relazioni, col dolore certo del vuoto lasciato da quelle strappate alla sua giovane vita con l’espulsione della madre e dunque dell’intera famiglia.
Sono casi individuali cui vi accenno per preparare il terreno al discorso su una frontiera almeno altrettanto crudele, quella tra Marocco e Algeria (chiusa dal 1994), costruita con il righello da logiche coloniali, che già all’inizio degli anni Sessanta causò la cosiddetta Guerra delle sabbie. Essa divide due paesi che dovrebbero essere amici e spingere insieme alla cooperazione del Grande Maghreb, quando invece soffrono di un conflitto mai interrotto e negli ultimi mesi gravemente riaffiorato. L’Algeria governata dai militari, in forte difficoltà per l’aggressiva politica estera del vicino Marocco, è arrivata a chiudere il suo spazio aereo ai voli del Marocco e le relazioni diplomatiche col paese fratello, con conseguente chiusura delle rispettive ambasciate.
Al centro del conflitto è certamente la causa dei saharawi.
È indubbio che il ritorno del Marocco nell’Unione africana abbia indebolito le posizioni filo Fronte Polisario all’interno della stessa unione come all’esterno, quando Trump, alla fine del suo mandato, ha riconosciuto la “marocchinità” del Sahara Occidentale, successivamente mai smentito da Biden.
Così come, la scorsa estate, il ritorno nell’Unione africana di Israele come osservatore non è casuale, ma fa parte di grossi movimenti a livello geopolitico che spaventano l’Algeria. La riapertura delle relazioni diplomatiche tra Marocco e Israele, contestuale al riconoscimento americano delle istanze irredentiste marocchine, ha portato pure a un accordo di scambio militare del tutto originale tra Israele e un paese arabo. Accordo tanto più preoccupante in quanto porta acquisizioni importanti nell’arsenale militare marocchino di tecnologie avanzate israeliane.
Proprio in gennaio dovrebbe svolgersi la prima cauta visita in Nord Africa del nuovo inviato delle Nazioni Unite per il Sahara Occidentale, il navigato diplomatico italo svedese Staffan de Mistura, sicuramente preoccupato di non stuzzicare i sospetti del Marocco, non propriamente favorevole alla sua nomina, accettata infatti con reticenza solo all’ultimo momento. Una missione davvero difficile la sua, in una dinamica conflittuale molto accesa che ha utilizzato persino la minaccia dei migranti contro la Spagna (ricordo la drammatica invasione soprattutto di ragazzini a Ceuta in ...[continua]

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