Saggistici, cioè costruiti a partire da un’idea dominante (le catastrofi del progresso), sono i suoi poemi Mausoleum (1975) e La fine del Titanic (1978). Nel primo vengono allineate sintetiche biografie, zeppe di citazioni, che mettono in scena alcune decine di protagonisti del progresso dal tardo Medioevo alla seconda metà del Novecento, dal padovano Giovanni de’ Dondi e Gutenberg, inventori dell’orologio e della stampa, a Turing e Che Guevara, il genio computazionale da un lato e l’eroe e martire dell’idea di rivoluzione dall’altro. Con evidente e spesso tragicomico accanimento analitico, Enzensberger mette in risalto le viziose stravaganze, spesso autodistruttive, di coloro che vissero al servizio di una sola idea, seguendo e realizzando la quale l’umanità sarebbe vissuta meglio: ma soprattutto diversamente da prima. Nel poema sulla fine di quel capolavoro dell’arte nautica che fu il transatlantico Titanic, si mostra come il meraviglioso, gigantesco gioiello sia potuto affondare imprevedibilmente incontrando un iceberg. Una tale sciagura aprì nel 1912 un secolo di meraviglie della tecnica, concludendo quella che fino ad allora era sembrata una “belle époque”.
Come attento ma non “apocalittico” critico del mito del progresso, Enzensberger aveva praticato, fin dai suoi primi volumi di saggistica, una metodica “critica della cultura” intesa come critica della società. Senza dubbio aveva letto Marx, ma anche Brecht e Kraus, Kafka e Adorno. Apparteneva alla generazione dei giovani tedeschi che dopo il 1945 sentirono il peso delle peggiori imprese dei totalitarismi, nonché della divisione delle due Germanie, una occidentale e democratica (davvero democratica?) e una orientale e comunista (davvero comunista?).
Il suo primo libro di saggi, uscito nel 1962, era intitolato Questioni di dettaglio nell’edizione italiana del 1965. Un titolo polemico nei confronti della categoria hegelo-marxista o lukacsiana di “totalità”. Per capire l’intera società e i suoi caratteri dominanti, meglio partire dall’osservazione e dall’analisi di fenomeni singoli, di particolari “singolarità” spesso trascurate in cui il tutto si esprime molto concretamente in qualcuna delle sue parti.
Il primo e più importante saggio socio-politico riguardava “L’industria della coscienza” e presentava una rielaborazione correttiva di quella che in Dialettica dell’illuminismo (1947) Max Horkheimer e Theodor Adorno avevano chiamato “industria culturale”. Mentre i due filosofi e sociologi francofortesi, dopo gli anni passati come rifugiati politici negli Stati Uniti, avevano messo l’accento sull’aspetto tecnico-produttivo, cioè industriale, della nuova cultura dominante, Enzensberger allargò l’oggetto di analisi all’intero sistema sociale:
Mentre si discute con fervore e separatamente sui nuovi apparati tecnici quali la radio, il cinema, la televisione, l’industria discografica e sui poteri della propaganda e della pubblicità, delle public relations, non si pensa affatto all’industria della coscienza nel suo insieme. A questo proposito non si cita quasi neppure il giornalismo, benché sia il suo ramo più antico e rimanga per molti aspetti ancora oggi quello più significativo, forse perché non costituisce più, ormai, una novità culturale, né la sua è una tecnica che possa destare meraviglia. La moda, l’insieme delle attività “formative”, l’istruzione religiosa e il turismo non sono ancora riconosciuti come sezioni dell’industria della coscienza e indagati come tali. Sarebbe inoltre opportuno studiare, sull’esempio della nuova fisica, della psicoanalisi, della sociologia, della demoscopia e di altre discipline, come venga indotta industrialmente una coscienza “scientifica”. Ma la cosa più grave è che non ci siamo ancora resi conto con sufficiente chiarezza che il pieno sviluppo dell’industria della coscienza sta per avvenire, che an ...[continua]
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