Scienza e cultura. Addestramento e saggezza. È fra questi due poli, o in qualche caso alternative, che si sta giocando e si giocherà in futuro il destino della cultura e dell’insegnamento in tutto il pianeta, ormai coinvolto nelle cosiddette, incessanti “modernizzazioni”. Una vera e propria omologazione e mutazione delle basi antropologiche nella storia umana sta facendo svanire i legami di continuità fra un passato secolare e millenario e un presente sempre più tecnologizzato, nel quale la Macchina e il suo mito sta cancellando ciò che sono state sia le tradizioni religiose, sia lo stesso umanesimo occidentale che ha occupato i secoli dal XIV al XX.
Nel discutere dei problemi dell’educazione, un filosofo come Alfred N. Whitehead (1861-1947), studioso di logica matematica e di fisica relativistica, non può certo essere sospettato di tradizionalismo e conservatorismo culturale. Insegnò matematica al Trinity College di Cambridge, poi a Londra e infine negli Stati Uniti, alla Harvard University, dove esercitò una decisiva influenza su filosofi americani tra i quali il pragmatista John Dewey e l’empirista logico Willard O. Quine. Nel 1924 Whitehead pubblicò con il titolo I fini dell’educazione una serie di conferenze e lezioni (da poco ripubblicate da Raffaello Cortina Editore a cura di Francesco Cappa).
Fini e scopi? Ma scopo della vita umana è la stessa vita umana, concepita come una via all’automiglioramento individuale e sociale. In questo senso il termine “ideale”, ormai per lo più desueto, risulta essere, secondo Whitehead, culturalmente necessario. Se si eliminano gli ideali, si blocca infatti ogni dinamismo processuale delle stesse attività pratiche, che quindi cadono nella stasi e nell’inerzia ripetitiva. Ogni attività, benché quantitativamente incrementata, sarà priva di quel tipo di “sapere” che è necessario a fare buon uso della conoscenza, a darle forma, attuazione e senso. Scrive Whitehead:
Lo svanire degli ideali è la triste prova del fallimento dell’impresa umana. Nelle scuole dell’antichità i filosofi aspiravano a instillare saggezza; nei college moderni il nostro più limitato scopo è insegnare materie scolastiche. L’essere discesi dalla divina saggezza, che fu la meta degli antichi, fino alla conoscenza manualistica che è attuata dai moderni, sta a indicare un insuccesso educativo che si è prolungato per secoli. Non sto affermando che nella pratica educativa gli antichi avessero maggiore successo di noi. Basta leggere Luciano e prendere atto della sua rappresentazione satirica delle ambiziose pretese dei filosofi per notare che, a questo riguardo, gli antichi non possono vantare una superiorità su di noi. Ma all’alba della nostra civiltà europea, si cominciò a orientare l’educazione con ampi ideali e che a poco a poco i nostri ideali si sono abbassati per adattarsi alla pratica quotidiana.
Ma quando gli ideali si abbassano al livello della pratica, il risultato è la stasi. Se concepiamo l’educazione intellettuale semplicemente come l’acquisizione di meccaniche attitudini mentali e di definizioni preformulate di verità utili, non ci può essere alcun progresso; anche se ci sarà molta attività nella ripetizione di inconcludenti compendi. (...) Vorrei far capire che, sebbene la conoscenza sia uno degli scopi principali dell’educazione intellettuale, esiste un altro elemento, più generico ma più ampio, e di importanza alquanto maggiore. Gli antichi la chiamavano “saggezza”. Non si può essere saggi senza qualche fondamento di conoscenza, ma si può facilmente acquistare conoscenza e rimanere privi di saggezza.
Ora la saggezza è il modo con cui si padroneggia il sapere. Essa riguarda l’utilizzazione della conoscenza, la sua scelta per arrivare a chiarire questioni di rilievo, il suo impiego per dare valore alla nostra esperienza immediata. Questo padroneggiare la conoscenza, che è la saggezza, è la più intima forma di libertà che possiamo raggiungere. Gli antichi intuirono più chiaramente di noi la necessità di regolare la conoscenza con la saggezza. Ma in pratica, nell’educazione, anche loro fallirono miseramente.
(op. cit., pp. 55-57)
Subito dopo, nel tentativo di chiarire meglio di che cosa è fatta la saggezza, Whitehead affronta il problema educativo centrale: la differenza, che è anche antitesi, fra libertà e disciplina. Si tratta del ritmo con il quale si succedono i tempi dell’educazione, dato che “la mente dell’allievo è un organismo in crescita”. Non è “una scatola da riempire”, è un processo per sostenere il quale va prevista “l’acquisizione ordinata di conoscenza” intesa come “il naturale alimento di un’intelligenza in sviluppo”. Nel regolare il ritmo del processo educativo vanno distinte varie fasi: lo stadio della fantasia, lo stadio della disciplina e della precisione, e quello finale della libertà che segue l’interesse, condizione preliminare necessaria all’attenzione. E questo perché “la smania di impartire pura conoscenza distrugge se stessa”. Se i vari livelli e ingredienti psicomentali del processo educativo non si alternano e non collaborano, l’insegnare e l’imparare si irrigidiscono meccanicamente. La disciplina necessaria diventa distruttiva se non si associa all’interesse e al piacere. Il processo con il quale l’educazione ha maggiori analogie, dice Whitehead, è “l’assimilazione del cibo da parte di un organismo vivente; e tutti sappiamo quanto sia necessario alla salute un alimento gustoso assunto in condizioni adeguate”.
Il piacere dell’avventura non va dissociato dalla pazienza della ricerca. Senza fantasia gli stessi dati di fatto non sono del tutto comprensibili e risulta anche difficile costruire teorie che non siano nello stesso tempo adeguate alla realtà e in se stesse coerenti. Non c’è vera conoscenza che non nasca dalla freschezza di esperienze nuove e le esperienze nuove si compiono con l’aiuto dell’immaginazione e del piacere di sentirsi più liberi nel momento in cui si impara a essere sia precisi che a generalizzare conoscenze limitate e specifiche.
“Nel mio lavoro universitario -dice Whitehead- mi ha particolarmente colpito la paralisi del pensiero prodotta negli allievi da una cieca accumulazione di sapere esatto, inerte e non utilizzato”.
Il richiamo all’idea di “saggezza” si rivela comunque fondamentale ed è ciò che segna una interruzione di continuità gravemente dannosa fra l’antichità e la modernità, fra la trasmissione tradizionale del sapere e quella che vige nelle moderne istituzioni educative orientate sull’utilità e sull’efficienza di società economicamente superorganizzate. In realtà e in conclusione si è indebolita fino a essere dimenticata l’idea che “l’educazione significa indirizzare un individuo verso la comprensione dell’arte di vivere”. Un’arte che passa necessariamente attraverso gli individui, il singolo individuo:
Ciascun individuo incarna un’avventura dell’esistenza. L’arte della vita consiste nel guidare questa avventura. Le grandi religioni della civiltà comprendono, fra i loro elementi originali, la rivolta contro la pretesa di inculcare la morale come un complesso di proibizioni isolate. La morale, nel senso meschino e negativo del termine, è la nemica mortale della religione. [...] Ogni esplosione di religiosità esprime la stessa intensità antagonistica. La vitalità della religione è messa in evidenza dal modo in cui lo spirito religioso è sopravvissuto alla prova dell’educazione religiosa. [...] La più penetrante manifestazione di questa forza è il senso della bellezza, il senso estetico della perfezione realizzata. Questo mi porta a chiedermi se nella nostra educazione moderna diamo sufficiente importanza alla funzione dell’arte. [...] Le nostre emozioni estetiche ci forniscono vivide percezioni di valore. Se voi le menomate, indebolite il vigore dell’intero sistema delle attività spirituali [...]. La storia ci dimostra che una fioritura artistica è la prima attività nei popoli che si incamminano sulla via della civiltà.
(op. cit., pp. 74-77)
Che cosa aggiungere? Forse questo: che in una cultura come la nostra attuale, in cui le arti si diffondono e si espandono ma nello stesso tempo falliscono nella mediocrità delle loro realizzazioni, è l’intero sistema culturale ed educativo a fallire.
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