Credo che sia il caso di rileggere un libro come L’uomo a una dimensione di Herbert Marcuse (1898-1979). Non tanto perché fu un bestseller mondiale degli anni Sessanta, ma perché il suo brillante titolo ne segnala la permanente attualità. Il sottotitolo era “L’ideologia della società industriale avanzata”; l’idea però che all’umanità cominciassero a mancare dimensioni che nel recente passato erano presenti, poneva problemi antropologici e culturali prima ancora che sociali e politici. Al fondo della dominante “unidimensionalità” c’era un riferimento alla nozione sia hegeliana che marxista di dialettica. In società tardo o neocapitalistiche l’ideologia dominante escludeva una fondamentale dimensione necessaria al dinamismo storico: mancava sempre di più la dimensione negativa, cioè critica, senza la quale nessuna opposizione politica di ampio respiro poteva e può essere concepibile. Quando alla constatazione positiva dei dati di fatto sociali non si contrappone la “negatività” di un principio critico oppositivo, lo stato di cose attuale si configura, viene pensato e vissuto, come insuperabile. Una socialità incapace di giudicare il presente dal punto di vista della sua modificabilità, è una socialità culturalmente paralizzata e quindi immodificabile.
Nel corso del Novecento, ma già con l’inizio della rivoluzione industriale, tra cultura e società si era aperto un conflitto radicale. Benché per certi aspetti l’Illuminismo fosse una cultura funzionalmente necessaria alla razionalità industriale protocapitalistica, per altri aspetti tendeva anche a giudicare e a correggere gli effetti sociali e morali di quella razionalità. Libertà, giustizia e uguaglianza alimentavano uno spirito riformatore o rivoluzionario che non poteva convivere pacificamente con la società industriale e l’economia capitalistica. Ma lo sviluppo della società tecnologica fra gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento stava abolendo quella precedente dialettica fra cultura e società. Con l’aiuto della crescita e dell’espansione tecnologica, gli individui vengono sempre più assuefatti e “integrati”, fino al punto di perdere ogni aspirazione e capacità di indipendenza e di rivolta. La società industriale avanzata stava riuscendo, secondo Marcuse, ad addormentare il conflitto con la crescita del benessere, dei consumi e del generale comfort. Lo sfruttamento capitalistico non riguardava più soltanto gli esseri umani come lavoratori produttivi, ma anche come consumatori e acquirenti. Fra luoghi di lavoro (fabbrica, azienda) e tempo libero (supermarket, intrattenimento) “l’uomo a una dimensione” è ogni individuo in quanto reso incapace di concepire una vita e un benessere diversi da quelli che il presente sistema sociale prevede e permette. Quando per ogni singolo individuo gli spazi di indipendenza mentale e di comportamento si chiudono, è l’intera società a paralizzarsi nella ripetizione coatta degli stessi gesti e pensieri. La creazione di “bisogni artificiali” assorbe così anche il bisogno di indipendenza e di libertà.
All’uomo “unidimensionale” che le nostre società “sviluppate” creano, il progresso tecnologico fornisce continuamente nuovi beni da consumare e da produrre, e questo affinché l’apparato produttivo non si fermi, anzi si espanda: l’economia si sviluppi, la società così com’è si perpetui nonostante le sue crescenti caratteristiche “antiumane”. Si trattava, già a metà Novecento, di una nuova schiavitù mascherata da tutta una serie controllata di “false libertà”. La libertà si riduceva alla scelta tra una merce e un’altra da comprare e da consumare, con cui convivere e che in realtà dà forma e contenuto alla vita dei cittadini ridotti, nel tempo libero, a consumatori di prodotti materiali e culturali che è la logica di mercato ad aver scelto.
Il libro di Marcuse si apriva con la constatazione che la società industriale avanzata è, nello stesso tempo, sempre più “razionalizzata”, cioè controllata nel suo rapporto pragmatico tra mezzi e fini, e sempre più irrazionale, irragionevole:

La sua produttività tende a distruggere il libero sviluppo di facoltà e bisogni umani (...) Questa repressione, così diversa da quella che caratterizzava gli stadi precedenti, meno sviluppati, della nostra società, opera oggi (...) da una posizione di forza. Le capacità (intellettuali e materiali) della società contemporanea sono smisuratamente più grandi di quanto siano mai state, e ciò significa che la portata del dominio della società su ...[continua]

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