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Cari amici,
ogni volta che passeggio faccio caso ai giardini delle case che incontro. Osservo le potature, guardo i cespugli e le fioriture e questo mi dà un po’ di felicità. Ci sono giardini speciali da non farsi scappare: quelli che presentano belle fioriture di tulipani e narcisi, altri ancora che invece fioriscono a maggio e giugno, e quelli che in inverno propongono intricate architetture di alberi. Per posti tanto speciali sono disposta anche a recarmi apposta ad ammirare le loro meraviglie, e quando vengo a sapere che uno di questi angoli da me tanto amato è stato distrutto, spianato per farci un parcheggio, o lastricato e pavimentato, magari in onore dell’idea modernista di Le Corbusier sugli spazi, mi rattristo.
L’87% delle case inglesi è dotata di giardino e il 75% dei miei connazionali si dedica al giardinaggio. C’è più terreno nei giardini privati delle case d’Inghilterra di quanto ve ne sia in tutte le riserve naturali del paese messe insieme -parliamo di oltre dieci milioni di acri di verde. Ciascuno di questi giardini è di conseguenza diventato ancora più importante per la conservazione della biodiversità del nostro paese, amaramente spogliato di intere aree boschive e di fauna selvatica ben più di ogni altro paese a noi paragonabile. Se in questa nazione di giardinieri ci diamo al giardinaggio, ora lo facciamo in nome di due cose: da un lato, conservare la fauna selvatica e il suo habitat, dall’altro, coltivare il nostro cibo.
Gli inglesi sono un esercito di giardinieri dilettanti, e spendono l’astronomica cifra di 18.6 miliardi di sterline all’anno per le loro aree verdi (gli ultimi dati risalgono al 2021). Di recente c’è stato un cambiamento in senso etico: si è passati dai concimi a base di torba a forme sostenibili che consentono anche di ottenere il meglio dai propri fagioli.
Ora va di gran moda lo scambio di sementi, e c’è sempre più consapevolezza delle necessità della conservazione, del bisogno di avere cataste di legna dove possano trovare rifugio i coleotteri, di offrire fonti d’acqua per ogni insetto e di attrezzare veri e propri “hotel” per le api. Ora che le persone vogliono tornare a sporcarsi le mani di terra, negli ultimi due anni la lista d’attesa per un’area ortiva pubblica (un piccolo appezzamento di proprietà comunale, affittabile per una modica cifra annuale) è cresciuta dell’81%.
È un fatto che il giardinaggio sia ancora, come è sempre stato, un’istituzione rassicurante, una costante delle nostre vite.
Il programma della Bbc “Gardener’s Question Time” (“L’ora delle domande al giardiniere”) ha compiuto settantacinque anni: offre ai giardinieri in erba la possibilità di porre i propri interrogativi a un gruppo di esperti, ciascuno dei quali è ormai una celebrità tra coloro che si dilettano di giardinaggio. Di questi tempi, poi, far crescere le cose è un atto radicale, che induce una trasformazione.
La pratica del “guerrilla gardening”, che consiste nel coltivare terra non propria, potrebbe apparirci come un fenomeno moderno, ma in realtà le sue origini risalgono a centinaia di anni fa, alla figura di Gerard Winstanley, un protestante britannico, riformatore religioso e filosofo politico, un attivista che operava dopo la Guerra civile britannica. Winstanley era tra i fondatori dei “True Levellers” (“veri livellatori”), noti anche come “Diggers” (“zappatori”), gruppo da lui stesso guidato, che lavorava le terre di cui si erano impossessati i proprietari terrieri locali, ma che fino a poco tempo prima erano a disposizione di tutti coloro volessero coltivarle. In una nota occupazione di un terreno un tempo comune, nel 1649, Winstanley e i suoi seguaci abbatterono le palizzate e riempirono i fossi per piantarvi verdure. Come era lecito aspettarsi, i proprietari terrieri risposero con il garbo che gli era proprio, cioè mandando i propri sgherri a malmenare i contadini. Alla fine, quell’occupazione fu abbandonata, ma rimase l’idea che esista un diritto comune alla terra e alla coltivazione di cibo.
Ai tempi nostri, il desiderio di trasformare gli ambienti coltivandovi piante è sia organizzato, sia individuale. Dai giovani uomini e donne che infilano le ghiande nel terreno degli spogli e desolati cantieri dell’edilizia residenziale, nella speranza che un albero vi faccia capolino, a coloro che fanno crescere arbusti in casa propria e poi, nottetempo, li vanno a ripiantare in giro, a chi lascia semi tra le mattonelle dissestate dei vicoli più trascurati. Tutte ...[continua]

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