Poi lei ha fatto Scienze Biologiche a Firenze e ci siamo ritrovati qualche anno dopo all’Istituto di Microbiologia di Siena, tutti e due incuriositi ed entusiasti per le nuove prospettive che lo studio dei virus apriva alla nascente biologia molecolare. Fiamma aveva -connaturate più che imparate- tutte le caratteristiche di una vera scienziata di primo piano, eppure le sapeva mascherare dietro un’aria di semplicità garbata e casalinga che metteva chiunque a suo agio. Assimilava quel che leggeva o ascoltava, con uno spirito critico che sembrava basato sul semplice buonsenso, ma che era il frutto di una straordinaria capacità di fare connessioni geniali e ardite, sorprendenti eppure ineccepibili. Colpiva soprattutto il suo costante atteggiamento autocritico, si faceva lei stessa tutte le obiezioni possibili, tornava indietro, provava altre strade, ricominciava daccapo, quasi scettica verso di sé e come guardinga dal rischio di prendersi troppo sul serio. E poi, alla fine di ogni lucido ragionamento, riportava il tono a un livello cameratesco e casalingo chiedendoti ridendo se non stesse dicendo solo sciocchezze. L’interesse per la scienza le è naturalmente durato tutta la vita, ma penso che non le abbia pesato troppo staccarsi dalla ricerca come professione, perché questa le avrebbe richiesto esercizi di autopromozione che le sarebbero parsi troppo vicini all’arroganza o al narcisismo.
Era bravissima a fare divulgazione, inventando esempi familiari e divertenti e conservando quel suo linguaggio colloquiale senza fronzoli ma senza sciatterie. Era sicuramente un’insegnate straordinaria e invidiavo i suoi alunni quando mi raccontava le lezioni e gli esperimenti originali che faceva in classe negli anni in cui si dedicava all’insegnamento, anche se purtroppo sembrava che i suoi allievi non la meritassero. Lei infatti non era capace, in alcun modo, di ‘montare in cattedra’, per quel suo istintivo automatismo di mettersi al livello dei suoi interlocutori. Da qui racconti raccapriccianti di scolaresche indisciplinate e di lavoro sprecato, conditi da amaro umorismo e consapevole autocritica.
La sua passione per la scienza e la divulgazione ha avuto poi uno sbocco felice nella sua attività di traduttrice e curatrice di testi importanti, classici o innovativi che fossero, da Darwin a Hofstadter. Penso che, col passare degli anni e l’avanzare della malattia, sentisse tutta la fatica del lavoro; ma anche se negli ultimi tempi ricorreva a strategie penose per continuare, le raccontava con scanzonato distacco, quasi riguardassero il personaggio di un racconto un po’ buffo.
L’impegno politico più recente a favore del popolo palestinese l’ha vista attiva con le qualità di sempre: passione, studio, confronto delle idee, capacità propositiva, comunicazione, dialogo. I segni del suo lavoro, i suoi scritti, resteranno con noi. Ma ora che -per chi la conosceva- è ancora fresca la sua immagine, il ricordo della persona sopravanza nella nostalgia il ricordo dell’intellettuale. Perché di Fiamma colpiva soprattutto la sua sensibilità affettuosa, i suoi modi schivi (rispondeva con serena allegria a chi indagava sulla sua famiglia di antichi papi e di intellettuali recenti), il suo istintivo desiderio di aiutare chi le stava intorno, il suo parlare senza artifici e quel sorriso ricorrente che le faceva socchiudere un poco gli occhi.
Donato Cioli
Nei molti anni che Fiamma Bianchi Bandinelli e suo marito Luca Baranelli hanno trascorso insieme a Torino la loro casa è stata uno dei punti stabili, dei luoghi di incontro e discussione, di un mondo di amici che condividevano in gran parte le idee, l’impegno, le speranze; qualche volta anche il lavoro.
Ho condiviso con Luca per una quindicina d’anni il lavoro e la stanza, da Einaudi. Ma ho cominciato a frequentare la casa di Luca e Fiamma da quando sono arrivato a Torino, nel ‘66. Devo a loro se mi sono trovato a mio agi ...[continua]
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