L’attenzione al futuro e il punto interrogativo, che vuole essere ottimistico, sono doverosi scrivendo per "Una città”, molto attenta, giustamente, alle cose nuove che si fanno; alle iniziative di persone, associazioni, imprese che cercano di realizzare i progetti in cui credono e che ritengono utili a sé e agli altri. La riflessione però parte da un libro che racconta la cancellazione, anche violenta, di settori industriali, e scientifici, in Italia: Marco Pivato, Il miracolo scippato. Le quattro occasioni sprecate della scienza italiana negli anni Sessanta, Donzelli Editore, 2011.
I quattro casi presi in esame sono, abbastanza ovviamente, il caso Olivetti, il caso Mattei, il caso Ippolito, il caso Marotta: cioè l’elettromeccanica e l’elettronica; il petrolio e la chimica; il nucleare; l’Istituto Superiore di Sanità. Tra qualche anno potremmo dover aggiungere il caso Agnelli, o Marchionne, e la metalmeccanica, il settore a cui l’elettronica fu consapevolmente sacrificata da un grande dirigente privato, Valletta, e da un alto dirigente pubblico, Visentini, che si trovarono a decidere il futuro della Olivetti dopo la morte del fondatore.
Non condivido particolarmente il taglio del libro che, però, è un utile riassunto per chi, nello sfacelo di oggi, si fosse perso le puntate precedenti. Nei primi anni Sessanta i neolaureati tecnici si trovavano a scegliere, letteralmente, tra offerte di grandi aziende pubbliche e private, tutte in ascesa, tutte con grandi prospettive, per sé e per i nuovi assunti, con settori di ricerca importanti e in espansione, all’avanguardia nel loro campo. Nel giro di un decennio, quale che fosse stata la scelta, si ritrovarono quasi tutti a vendere saponette, perché le aziende erano state bloccate, snaturate, i rapporti interni sconvolti, i laboratori chiusi, i diplomati riciclati e i laureati lasciati a marcire, perché licenziare in blocco ingegneri, fisici, chimici, non fa bene all’immagine. Pensavano di avere scelto, ma tutte le strade portavano alla stessa casella del gioco dell’oca. I casi però sono molto diversi e meritano qualche considerazione aggiuntiva.
Era diverso il rapporto tra ricerca scientifica e attività produttiva -centrale alla Olivetti, o nella chimica fine, o nei Laboratori riuniti studi e ricerche dell’Eni, laterale nella politica del petrolio; era diverso lo spessore culturale, la potenzialità innovativa della proposta aziendale- altissimo alla Olivetti; fu diverso il modo della chiusura, della scomparsa dell’attività di ricerca avvenuta, nei vari casi, per morte e decisione dei vertici della classe dirigente, per omicidio, per conflittualità interna e vie giudiziarie. Per inquadrarli bisogna partire da un’osservazione che a suo tempo è stata fatta da uno dei maggiori studiosi dello sviluppo e dell’arresto dello sviluppo italiano: Augusto Graziani. I piani di sviluppo delle grandi aziende italiane pubbliche e private non erano sommabili. Per realizzarli tutti ci sarebbero volute percentuali di crescita più alte di quelle cinesi, per decenni. Le merci oltre che produrle bisogna venderle a qualcuno, in patria o fuori. E gli stati sovrani si difendono, con le buone o con le cattive. Olivetti doveva vendere le sue macchine per scrivere con la "margherita” negli Stati Uniti, e la Ibm la bloccò con infiniti cavilli sui brevetti, come ci ha ricordato negli anni scorsi Angelo Meo; Mattei voleva rompere le barriere tra i blocchi, comprare dai russi, collaborare con gli iraniani, cooptare i comunisti al governo, e Kissinger gli rivolse le stesse minacce che rivolgerà pochi anni dopo ad Aldo Moro (è un punto che non conoscevo e che Pivato riprende da Gentiloni Silveri, L’Italia sospesa). Un paese relativamente piccolo non può sviluppare tutti i settori industriali contemporaneamente.
Questo non vuol dire che non ne possa sviluppare nessuno, come sta finendo con l’accadere; né che debba chiudere la ricerca nei settori in cui non ha aziende leader mondiali; né che la ricerca, scientifica e no, debba essere per forza legata a un’industria nazionale.
La grande ricerca medica e biologica in Italia è nata e si è sviluppata in piccole scuole universitarie, in cattedre neppure corrispondenti nel nome alla realtà. La Levi Montalcini e Dulbecco vengono dalla classe di Giuseppe Levi, padre di Natalia Ginzburg, che era, sull’annuario, professore di zoologia. La fisica italiana ha avuto il suo massimo splendore a via Panisperna, in una stretta strada in salita che in ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!