Le manifestazioni dei sindaci contro i tagli ai bilanci dei Comuni, senza distinzioni politiche, non senza doppiezza quando si tratta di rappresentanti di spicco dei partiti di governo, sembrano più che legittime. Tra tanto parlare di federalismo e decentramento, l’Italia sta vivendo un periodo di assurda centralizzazione: finanziaria, dell’informazione, della scuola, travolta dai tagli e dalle normative ministeriali.
Basti pensare all’abolizione dell’Ici, l’unica imposta, oltre alla Tarsu, ovviamente locale. Restano le spese, spariscono le entrate, sostituite da trasferimenti, in diminuzione e in perenne ritardo.Ma mettere tutti i Comuni insieme, come per forza accade nell’emergenza, cancella le differenze tra situazioni esemplari, in cui davvero il sindaco, noto personalmente a molti concittadini, è un punto di riferimento, non solo amministrativo, e i Comuni di comodo, senza abitanti permanenti, da un lato; le aree metropolitane, mai riconosciute e regolate, dall’altro.
E in mezzo buona e cattiva amministrazione.Vittorini si chiedeva -in Le città del mondo- se sono le città felici che sono belle o quelle belle che sono felici. Ci sono comuni -unità amministrative- che non sono mai stati né Comune, né città. Ci sono Comuni che sono rimasti riconoscibilmente tali attraverso secoli di vicissitudini politiche e domini.
A Ferrara, le signore, la sera, arrivano al teatro -che è bellissimo, davanti al monumento a Savonarola, "di vizi e di tiranni flagellatore”- in bicicletta; e i vecchi fanno volontariamente e gratuitamente da guida e sorveglianza per le mostre al Palazzo dei diamanti. E le pensionate interpellano cortesemente e con l’accento giusto i politici che si trovano per caso accanto al caffè: "Dottor Franceschini, le pensioni! Altrimenti come facciamo a venire a prendere il tè?!”.Ma si potrebbero citare esempi a non finire di Comuni rimasti tali nei secoli, soprattutto, ma non solo, nell’area di vecchia tradizione comunale e localistica: gli asili di Reggio, la scuola di Modena. Posti dove il nome dei paesi e dei territori non dipende dalla distanza dalla capitale -citeriore/ulteriore, come in Abruzzo- ma dalla distanza dallo spartiacque -inner/ausser, come in Alto Adige; città che nelle lapidi e nei nomi delle strade ricordano la loro tradizione civile.Ci sono comuni di montagna senza residenti permanenti; province che non sono riuscite a diventare né Comune né città; città belle, con una tradizione, come l’Aquila, trasformata in un cumulo di macerie circondato da un anello di case senza centro e dalle macchine in coda, dal terremoto e dalla cattiva politica dell’arricchire i ricchi.
Le finanze dei comuni, belli e brutti, vanno difese, perché alla fine sono i comuni che forniscono alcuni servizi essenziali ai cittadini; ma soprattutto va difesa l’autonomia dei comuni e la responsabilità delle amministrazioni, dalla riscossione dei tributi alla pulizia, agli asili. Non si può mettere tutto insieme.Non si può neppure immaginare un’autorità che premi o punisca, che prevenga e controlli, come potrebbe e dovrebbe esserci per le spese dei ministeri e per il Servizio sanitario nazionale, dato che l’autorità di spesa è regionale, o delle Asl, ma il diritto alla salute è nazionale. Ci sono vizi e virtù nei comuni che nessuno Stato onnisciente può scoprire davvero.
Se guardo al piccolo dei paesi che ho avuto modo di conoscere per esperienza diretta, ci sono casi in cui l’esistenza del Comune come entità amministrativa autonoma sembra importante – potrebbe essere il caso di Salza di Pinerolo, in area valdese, in cui un sindaco già operaio Riv-Skf, in una baracca di legno, aiutato dalla presbitera (dall’anziana) della chiesa locale, organizza dibattiti sull’etica del lavoro, con la partecipazione di tutto il paese e mantiene la tradizione di sobrietà e di operosità, non più di miseria, della montagna: ci sono alcuni vecchi professori importanti, ma c’è anche uno che è tornato a fare l’allevatore, il pastore.Ci sono paesi, come Rore, comune di Sanpeyre, in val Varaita, che si è ripopolato in controtendenza, anche per la scelta volontaria di alcuni giovani usciti dal movimento degli anni Settanta, stufi di chiedersi se fosse il caso di procurarsi una P38 o di andare a denunciare quelli che pensavano di procurarsela, che si sono stabiliti lì, si sono sposati lì, hanno allevato i figli lì, perché pensavano che lì i bambini potessero crescere felici, hanno imparato i vecchi mestieri, hanno riaperto la scuola elementare, hanno contribuito a mantenere in vita il paese. Ma Rore non è Comune; il Comune è Sanpeyre. Non tutto va bene. I bambini, diventati ragazzi, forse invidiano un po’ il fondovalle e se ne sentono esclusi.
Ma il ponte tra le vecchie generazioni, le donne quasi centenarie, l’anello forte, come scriveva Nuto Revelli, e giovani, si è salvato; senza bisogno di un baricentro amministrativo.Ci sono paesi come Piossasco, che è Comune, dove, nell’ambiente delle Comunità di base è nata la scuola popolare, volontaria, prima di Barbiana, prima delle 150 ore, per l’istruzione degli immigrati meridionali, analfabeti, che montavano le Fiat a Rivalta, lì vicino, e abitavano dove trovavano; oppure occupavano l’occupabile. Lì i giovani della scuola hanno anche vinto le lezioni e hanno amministrato il Comune, più o meno fino ad ora.Ci sono paesi come SaintMagdalen in Gsiesertal-Santa Maddalena in val Casies, diffusamente cattolico e totalmente germanofono, in origine, ottimamente amministrato, con un buon equilibrio tra allevamento, mestieri e turismo, un po’ turbato dalle troppe strade e dai mangimi proteici per le mucche, che ricorda con la croce più importante nel cimitero e croci di legno sui sentieri Johann Steinmayer, gesuita, ammazzato nell’autunno del ‘44 nel carcere di Brandeburgo, a Berlino, per antinazismo.
C’era una rete di preti antinazisti in valle, perché il nazismo non era una lingua, né una religione, ma una ideologia.Le persone, le associazioni, i comuni, vanno guardati uno per uno, dall’interno, senza pregiudizio, senza condiscendenza, da chi ci vive. Forse si chiama inchiesta, forse si chiama giornalismo, forse si chiama impegno politico. Non c’è modo migliore per contribuire a risvegliare una società, a bloccare gli sprechi, a incoraggiare il lavoro, a conoscere i nuovi ed il nuovo; senza bisogno di salvatori esterni, che non ci sono mai.Basta trovare la giusta distanza, come diceva il titolo di un film girato nel delta del Po, qualche anno fa.